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In questi giorni nel dibattito pubblico si è tornati a parlare della difesa dei diritti dell’infanzia invocando il recupero dei valori fondanti del vivere sociale. Partendo da questo richiamo credo non dobbiamo trascurare un fenomeno, apparentemente innocuo, che quotidianamente entra nelle nostre case e tocca milioni di bambini. La pubblicità.
rnUna mole imponente di ricerche mostra che la pubblicità, plasma profondamente i desideri, i valori, il benessere, le relazioni interpersonali, e la percezione della realtà delle persone.

Gli individui più esposti alla pubblicità tendono a sviluppare maggiori valori del consumo. Questi sono definiti come il dare una elevata priorità nella vita a obiettivi come il consumo, il denaro, il successo. Gli individui consumisti sono meno soddisfatti della loro vita, meno felici, provano meno frequentemente emozioni positive, hanno più stress, più probabilità di contrarre malattie mentali come ansia e depressione, più frequenti emozioni negative e godono di una salute peggiore.

Il minor benessere degli individui consumisti non è sorprendente data la loro difficile vita relazionale: in particolare la tendenza alla ‘reificazione’ dell’altro, cioè la tendenza a considerare gli altri come oggetti, sfavorisce relazioni soddisfacenti. Inoltre gli studi dimostrano che gli individui più materialisti hanno una peggiore relazione con se stessi: misurata da una serie di parametri come il grado di autostima, di vitalità, di capacità di provare esperienze coinvolgenti, di percezione di libertà e autonomia nel determinare la propria vita.

La principale evoluzione degli ultimi venti anni nei fenomeni di mercato riguarda i bambini e i ragazzi che sono divenuti il principale obiettivo della pubblicità.

Negli Stati Uniti la spesa totale in pubblicità diretta ai bambini ha raggiunto i 15 miliardi di dollari nel 2004, cifra 150 volte superiore alla spesa in pubblicità TV del 1983. Martin Lindstrom, uno dei guru della pubblicità mondiale, sostiene che l’80 % dei marchi globali necessita di una strategia pubblicitaria per i bambini.

Gli studi documentano ampiamente la vulnerabilità dei bambini alla pubblicità. La pubblicità plasma i valori e i desideri dei bambini in una misura molto superiore a quella – già ampia – degli adulti. I bambini interiorizzano facilmente il materialismo implicito nei messaggi pubblicitari e questo li conduce ad un minor benessere: hanno maggiore ansia, minori livelli di auto-stima, rapporti più difficili con i genitori, minor generosità, maggior probabilità di fare attività anti-sociali.

La raffinatezza, efficacia, audacia delle strategie pubblicitarie dirette ai bambini ha raggiunto livelli impressionanti. I milioni di piccoli consumatori, vengono sezionati per età, sesso, inclinazioni, potere d’acquisto, segmento di mercato in modo da calibrare il messaggio all’ “obiettivo”. Per vincere questa guerra non si bada né alle spese né alle risorse intellettuali impiegate. Un agguerrito esercito di psicologi, esperti di sviluppo infantile, scienziati del cervello, sociologi, antropologi, offre le sue raffinate armi all’industria pubblicitaria dietro lauti compensi. Un diluvio di ricerche cataloga i più intimi dettagli della vita dei bambini. I pubblicitari filmano i bambini nei loro spazi privati, vanno nelle strade, nei negozi, e persino nelle scuole raccogliendo dettagli sui rituali della loro vita quotidiana.

Come è stato possibile che la pubblicità divenisse il racconta storie moderno e l’architetto globale dell’infanzia? Il motivo più importante è che i bambini sono più vulnerabili alla pubblicità degli adulti. Le ricerche mostrano che al di sotto dei cinque anni i bambini non sono spesso capaci di distinguere chiaramente uno spot da un programma. La pubblicità è percepita come una forma di intrattenimento. La coscienza dello scopo di uno spot si diffonde comunque molto più tardi, all’età di otto anni. Da quella età in poi i bambini cominciano a sviluppare uno scetticismo rapidamente crescente. Ma questo scetticismo non influenza molto i loro desideri. Il secondo motivo della pressione pubblicitaria sui bambini è che essi guardano livelli senza precedenti di televisione. Al punto che la pubblicità ai bambini è vista come un investimento di lungo periodo. Uno studio di Nickelodeon mostra che il bambino medio di dieci anni memorizza dalle 300 alle 400 marche. Per questo i canali satellitari di cartoni animati per bambini sono invasi da pubblicità di prodotti per adulti, come i SUV.

Che possiamo fare? Né più e né meno quello che facciamo in altri mercati che trattano prodotti pericolosi, come l’alcool, il tabacco, le armi, le droghe, ecc.: regolarli, tassandoli e imponendogli una serie di limiti e/o obblighi, al limite bandirli.

Ad es. in Svezia, la pubblicità televisiva diretta ai minori di 12 anni è stata proibita. In Nuova Zelanda, è stata proibita la pubblicità del cibo spazzatura. In Francia la pubblicità è stata bandita dai canali di stato.

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Esiste qualche seria controindicazione alle proposte che faccio? Ci sono tesi a difesa della pubblicità?

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La principale sostiene che il consumo può soddisfare il bisogno di autonomia dei bambini. Comprare un giocattolo, imparare il suo uso, avere la possibilità di scegliere tra i prodotti, alimenta “il forte bisogno che i bambini hanno di essere indipendenti”

In realtà questo è un argomento a difesa della libertà di comprare e non ha implicazioni favorevoli alla libertà di pubblicizzare. È bene chiarire che ciò che è in discussione non è la libertà di comprare e che questa sarebbe garantita anche senza la pubblicità. Nessun argomento a favore della libertà di qualunque genere autorizza una manipolazione di massa. È vero che gli studi mostrano l’importanza per lo sviluppo psicologico dei bambini di compiere scelte autonome, ma questo argomento lo riduce al possesso. Il problema è che il bisogno di autonomia oltrepassa molto i confini del possesso. Una ossessiva stimolazione del possesso non potrà mai promuovere il senso di autonomia di una persona in senso pieno.

In conclusione se vogliamo proteggere i nostri bambini, difenderli dalla pubblicità è un ottimo inizio. Non c’è alcuna seria controindicazione ad un bando della pubblicità televisiva diretta i bambini, sul modello svedese.

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