rndi Elisabetta Lo Iacono
rnC’è un tipo di giustizia che ha un valore ben superiore rispetto a una pena detentiva o ad un lauto risarcimento economico: è la giustizia che spetta alla memoria e alla storia. Un tipo di giustizia che non invoca pene esemplari, che non si nutre di vendette bensì di rispetto, di amore e di senso civico dovuto alle vittime e alle giovani generazioni che dovranno costruire un futuro migliore di quello che toccò ai tanti "bambini" di Sant’Anna.

Con l’archiviazione disposta dalla Procura di Stoccarda, sembra non trovare pace la memoria delle 560 vittime trucidate il 12 agosto del 1944 a Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, da soldati tedeschi che raggiunsero il piccolo borgo sulle colline della Versilia senza tanti indugi, accompagnati da un manipolo di fascisti collaborazionisti.
Uno dei più gravi fatti accaduti durante l’occupazione in quanto a finire sotto la lucida follia dei nazisti furono 560 vittime: bambini, donne e anziani.
Quelle categorie deboli che, se si ha un minimo senso di pietà e decoro, non c’è conflitto che ne giustifichi il coinvolgimento. Gli uomini del paese con quelli che venivano dalle zone limitrofe, e che a Sant’Anna si erano rifugiati con le famiglie in quanto considerata area sicura, si erano allontanati all’arrivo delle truppe, certi che in quel modo avrebbero salvato non solo le loro vite ma soprattutto quelle di mogli, figli e anziani genitori.
Le cose andarono diversamente, come ha appurato il tribunale militare di La Spezia che nel 2005 ha condannato all’ergastolo ex ufficiali e sottufficiali tedeschi ritenuti responsabili. Nel 2007 la Cassazione confermò la sentenza che, in considerazione dell’età ormai avanzata dei colpevoli ancora viventi, aveva un valore esclusivamente storico e morale.
E non era cosa da poco, un obiettivo raggiunto dopo decenni di silenzi gonfiati da ragioni di stato e politiche che avevano creato una sorta di bolla della menzogna e dell’ipocrisia attorno a questa strage e ad altri gravi avvenimenti del periodo.
Nel 1994 la svolta con il rinvenimento, in uno scantinato di Palazzo Cesi a Roma sede della Procura militare, di un armadio chiuso e con le ante rivolte verso la parete. Una situazione che non poteva più reggersi e così la bolla scoppiò, facendo uscire da quell’"armadio della vergogna" – come fu efficacemente definito dal giornalista Franco Giustolisi dell’Espresso – una mole di documenti e informative utili a fare luce su tanti fatti di sangue e a risalire ai responsabili.
Nel processo vennero ricostruiti gli avvenimenti, i rastrellamenti, le fucilazioni, gli atti terribili compiuti su quella gente inerme, sui bambini, sino al grande falò sulla piazzetta della chiesa dove furono accatastate gran parte delle vittime, bruciate utilizzando le panche della chiesa.
Le lapidi poste nella chiesetta e all’ossario situato poco più in alto, raggiungibile attraverso una via crucis che ripercorre stazione dopo stazione un sacrificio immane, testimoniano l’inquietante resoconto anagrafico di quella strage dove, al di là dei nascituri che trovarono la morte nei pancioni delle madri, la vittima più piccola, Anna Pardini, aveva appena venti giorni.
La Versilia ha sempre portato in sé questa ferita, alleviata da quella tardiva sentenza che dava comunque un nome e un volto agli aguzzini che avevano cancellato così tante vite e stravolto per sempre quelle dei superstiti. Un esercizio di forza e di pazienza che negli anni ha messo a dura prova i nervi di sopravvissuti e familiari che hanno sempre dimostrato una grande maturità civica e la capacità di rielaborare quello strazio in positivo, gettando alle ortiche l’odio a favore della coltivazione della memoria, come omaggio alle vittime e a vantaggio delle nuove generazioni.
Ecco che Sant’Anna di Stazzema ha creato negli anni un museo, un centro di accoglienza e di alta formazione alla pace ed ha visto l’istituzione del Parco nazionale della Pace, un vero e proprio laboratorio di dialogo per i giovani provenienti spesso da Paesi in guerra.
Una fucina di tolleranza e di pace che opera tra le prove tangibili di un odio incomprensibile e che ha richiamato nel tempo anche tante personalità tedesche, salite a Sant’Anna per rendere il loro personale tributo o quello delle istituzioni rappresentate. Ultimo, in ordine di tempo, il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, presente a Sant’Anna lo scorso 12 agosto, in occasione delle cerimonie per il 66° anniversario dell’eccidio.
In questa crescente cooperazione italo-tedesca a favore della pacifica convivenza tra popoli, che ha condotto nel tempo a una vera e propria comunanza di sentimenti, è piombata come un fulmine a ciel sereno la decisione della Procura di Stoccarda di procedere con l’archiviazione "per insufficienza di prove". Secondo la Procura tedesca, chiamata a dare esecuzione alle sentenze italiane, non esisterebbero adeguate prove documentali a dimostrazione di una responsabilità individuale per i diciassette ex appartenenti alla sedicesima corazzata "Reichfuehrer S.S." ancora in vita. Le motivazioni fanno riferimento all’impossibilità, contraddetta peraltro dalle interviste rilasciate da alcuni di quei soldati tedeschi, di stabilire il numero esatto delle vittime, di provare che la strage sia stata un atto di rappresaglia programmato contro i civili, piuttosto che avviata ai danni dei partigiani presenti nella zona e finalizzata a catturare uomini da deportare in Germania. Inoltre il fatto di essere appartenuti a quelle unità militari non può, a detta dei giudici tedeschi, essere direttamente correlata con una responsabilità nella strage.
Il risentimento alla notizia non si è fatto attendere e sta crescendo il fermento per avviare le adeguate azioni diplomatiche, politiche e di protesta. I primi a disapprovare la decisione sono stati rappresentanti della sezione italo-tedesca del Partito democratico che, assieme a studenti dell’Università di Berlino, si sono recati nei giorni scorsi a Sant’Anna per protestare contro la decisione dei propri connazionali e per esprimere solidarietà. A seguito della decisione giunta da Stoccarda, il segretario generale del nostro Ministero degli esteri, Michele Valensise in stretto raccordo con il ministro Giulio Terzi, ha ricevuto alla Farnesina il ministro degli esteri tedesco Michael Georg Link, manifestando rispetto per l’indipendenza della magistratura tedesca ma sottolineando come "tale decisione è per gli italiani, non solo per i sopravvissuti e i familiari delle vittime, motivo di profondo sconcerto e rinnovata sofferenza".
Forme di pressione politica e di formale protesta sono al vaglio in questi giorni, in una triangolazione tra le associazioni dei superstiti e delle vittime ed i rappresentanti di Governo, Parlamento ed enti locali.
A tirare le fila, contemperando risolutezza e delusione è il sindaco di Stazzema Michele Silicani che si è rivolto innanzitutto al ministro di Grazia e Giustizia Paola Severino. Il sindaco è pronto a tutto, a un’incisiva azione politica ma anche a portare lo sdegno dell’Italia a Stoccarda, sulla spinta dell’amarezza di chi è cresciuto leggendo negli occhi dei superstiti un dolore troppo grande e facendo di quella ferita un impegno di testimonianza. Senza pretendere vendetta né risarcimenti ma semplicemente la giustizia dovuta alla sua gente e all’intero Paese.
Che la vicenda abbia una rilevanza nazionale lo dimostra anche l’immediata reazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, appena appresa la notizia, ha espresso profondo rammarico per "le sconcertanti motivazioni con le quali è stata disposta, in Germania, l’archiviazione di procedimenti giudiziari contro soggetti accusati di partecipazione diretta a efferate stragi naziste".
Nessuno vuole permettere che la memoria di questa strage, simbolo di tante altre perpetrate dai nazifascisti, si perda tra ragioni di stato e nell’imbarazzo della Germania di dover riconoscere una verità assai scomoda. Nessuno vuole che il sorriso beffardo del generale Albert Kesselring, comandante supremo delle forze armate tedesche in Italia, spenga ancora una volta il sorriso dei "bambini" di Sant’Anna di Stazzema.

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