Quest’ultimo punto rappresentava fino a poco tempo fa proprio il nodo irrisolto. I titoli derivati i cui flussi di pagamento dipendevano direttamente o indirettamente dalla solvibilità dei mutuatari americani avevano perso fino all’80 percento del loro valore. Come sarebbe stato possibile farli uscire dalle banche? Venderli a quei prezzi avrebbe significato riconoscere perdite ingenti nei bilanci delle banche portandole al rischio di fallimento. Pagarli più del loro valore di mercato con un intervento pubblico avrebbe posto oneri enormi sulle spalle dei contribuenti facendo lievitare il debito pubblico americano verso livelli “italiani”.rn
In che modo il piano del Tesoro americano ha affrontato il problema? Innanzitutto ha aspettato che l’avversione al rischio degli operatori dei mercati trovasse un punto di minimo (relativo o assoluto? questo non è dato saperlo) e il crollo dei valori di borsa si fermasse.
Dopodiché ha costruito uno schema che incentivasse i privati ad acquistare i titoli tossici in modo da sostenerne la domanda con effetti positivi sui prezzi. La soluzione partorita è quella di un’asta per l’acquisto (meccanismo che avvicina il valore di vendita alla massima disponibilità a pagare degli interessati) e di un massiccio sostegno pubblico all’iniziativa dei privati (attraverso un prestito agevolato che finanzia gran parte dei soldi investiti e accompagna ad ogni dollaro investito dai privati un dollaro investito dall’amministrazione).
rn
rn
Il punto critico del ragionamento è che, se il mercato non ha raggiunto il suo punto di minimo (o perché arriveranno nuove notizie negative o perché la caduta nella propensione al rischio degli operatori non si è ancora arrestata e continua ad autoalimentarsi), gli acquirenti dei titoli rischiano ancora perdite con un onere che finirebbe nei casi estremi (insolvenza degli investitori) per scaricarsi ancora una volta sul bilancio pubblico.
Inoltre, si potrebbe argomentare, se anche il punto di minimo fosse questo, perché non lasciare la soluzione al mercato evitando di mettere a rischio altri soldi pubblici ?
In sostanza la vera questione è se il meccanismo proposto ha di per sé degli elementi in grado di stabilizzare e di far ripartire il mercato. Riteniamo di sì anche se nessuno potrà dire se questo basterà.
Innanzitutto gli investitori potrebbero crearsi un portafoglio di titoli tossici con un minimo di diversificazione: le perdite di alcuni potrebbero compensare i guadagni di altri e dunque non necessariamente porterebbero al fallimento degli investitori stessi e alla copertura dello Stato. Il prestito agevolato riduce il costo dell’iniziativa e, dunque, a parità di tutto il resto ha sicuramente un effetto positivo sulla domanda.
Infine, se esiste una bolla negativa e dunque un eccesso di reazione alle cattive notizie che ha portato i valori dei titoli tossici al di sotto del loro fondamentale, una semplice nazionalizzazione delle banche non avrebbe potuto rivitalizzare il mercato e avrebbe finito per trasferire gli effetti nefasti della bolla negativa sul bilancio pubblico. Il piano del Tesoro americano invece potrebbe avere effetti importanti su tali aspettative invertendo la rotta dei prezzi. Infine, cosa non trascurabile, l’intera iniziativa libererebbe le banche dai loro fardelli e dunque potrebbe contribuire a riattivare il mercato del credito con effetti positivi sulla domanda aggregata creando i presupposti per notizie positive in grado di incidere sui prezzi dei titoli tossici stessi.
rn
rn
Insomma, conoscendo i dati del problema e sapendo che i mercati finanziari dipendono da cicli (positivi o negativi) di propensione al rischio degli operatori il piano americano possiede alcune carte importanti per affrontare la crisi.