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Negli ultimi anni il Mezzogiorno è stato escluso da qualsiasi lungimirante politica di sviluppo capace di completare la transizione verso un’autentica economia di mercato. Per questo, l’auspicio è che in questo nuovo anno si torni a parlare concretamente di sviluppo per il Mezzogiorno. Il che, tuttavia, richiederebbe l’investimento di molto denaro pubblico, un cambiamento culturale capace di far emergere una forte capacità progettuale e una “buona” finanza.

La ridefinizione degli equilibri economici che la crisi porta con sé permette di guardare l’impegno per il Sud non più in termini assistenzialistici, ma come un’opportunità nell’ottica dello sviluppo di un’area ad altissimo potenziale economico com’è quella mediterranea. In particolare, è bene ripensare il tema dello sviluppo di quest’area alla luce dell’esperienza della finanza “cattiva” e del richiamo allo “sviluppo come vocazione” proposto da Benedetto XVI.

L’impegno del Governo ed in particolare dei ministri Tremonti e Sacconi a favore della creazione della Banca del Mezzogiorno potrebbe rappresentare un segnale interessante che, se adeguatamente sostenuto, crediamo possa essere in grado di dare frutti significativi. Ciò, specie se sarà in grado di stimolare e rendere più dinamico il mercato del credito nel mezzogiorno e la gestione dei fondi agevolati per il Sud. Si tratterà di una banca privata, di un’istituzione finanziaria di secondo livello. Una rete di istituti di credito, di imprenditori, di associazioni di imprenditori e di soggetti finanziari, all’interno della quale il ruolo dello Stato dovrebbe essere esclusivamente di tipo “sussidiario”, di fluidificante e collettore dell’iniziativa privata. Significativo in questo senso è sia il ruolo centrale che in essa svolgerà il sistema delle Banche di Credito Cooperativo, sia le modalità di autofinanziamento mediante l’emissione di titoli di risparmio per l’economia meridionale.

Occorre essere ben consapevoli però – per non incorrere negli errori del passato – che nessuno sviluppo integrale è possibile prescindendo dal principio di responsabilità: politica ed istituzioni possono fare molto, ma non possono e non devono fare tutto. Come ci ricorda Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, lo sviluppo “è una vocazione, un appello rivolto da uomini liberi a uomini liberi per una comune assunzione di responsabilità”. Si tratta di un’importante precisazione, dal momento che lo sviluppo del Sud, prima ancora che da efficaci politiche per il mezzogiorno, dipende da un progetto che vede al centro il coinvolgimento della stessa società civile che vi opera.

Capitale e lavoro, in senso meramente tangibile, non sono sufficienti a rendere ragione della genesi del valore economico. Come sostenuto da tempo da una folta schiera di economisti, la prima ragione della ricchezza è il capitale umano che consente la formazione del capitale sociale. Tra gli altri, è stato Carlo Cattaneo a scrivere che la creazione della ricchezza richiede in primo luogo l’opera intelligente dell’uomo, in quanto, “chiuso il circolo delle idee, resta chiuso il circolo delle ricchezze”, ed ancora: “non v’è lavoro, non c’è capitale, che non cominci con un atto d’intelligenza”.

È questo il pre-requisito per lo sviluppo, senza il quale qualsiasi politica per il Mezzogiorno non avrà futuro. L’opera dinamica ed intelligente deve però certamente essere accompagnata e sostenuta da istituzioni capaci di garantire la legalità, in grado di consentire il corretto funzionamento del libero mercato e disponibili ad investire nella formazione del capitale umano.

Lo sviluppo di un territorio – e, in tal senso, la creazione della Banca del Mezzogiorno potrebbe rappresentare un utile strumento – necessita anche di una buona finanza, capace di porre al centro il bene delle persone e di operare al servizio del tessuto economico-produttivo, contribuendo in tal modo a generare quella fiducia che è ingrediente essenziale per il funzionamento del mercato.

Il rischio che la Banca del Mezzogiorno si trasformi in un nuovo carrozzone politicizzato o, peggio, strumento di malaffare o in una nuova bolla finanziaria è sicuramente alto (si ricordino le “tre male bestie denunciate da Sturzo: “statalismo, partitocrazia, abuso del denaro pubblico”), ma non è un esito necessario. Per scongiurare una tale deriva, la Banca del Mezzogiorno, in sintonia con la prospettiva teorica di Luigi Sturzo e di Wilhelm Röpke, in conformità al principio di concorrenza che è alla base di quel liberalismo delle regole che orienta l’economia sociale di mercato, dovrà occuparsi del sostegno delle iniziative imprenditoriali capaci di generare ricchezza e occupazione sul mercato (e non fuori o contro il mercato) e consentire alle imprese che vivono sul mercato di consolidarsi e di svilupparsi.

Affinché sia motore di sviluppo del Sud essa dovrà mostrarsi conforme alla logica del mercato, promuovere il protagonismo degli operatori, essere capace di innescare i processi economici dal basso – con metodo “sussidiario” – ed in ultimo essere una banca di relazione, capace quindi di far emergere il capitale umano e trasformarlo in capitale sociale, condizione essenziale perché un’idea innovativa meriti il nome di intrapresa economica.

rn

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