Tra i titoli tossici invece i volumi erano molto più elevati, con le Asset Backed Securities, di cui fanno parte i derivati ottenuti cartolarizzando i mutui, a 7 trilioni e i Credit Default Swaps (CDS) (ovvero i derivati comprati come assicurazione dai possessori degli ABS in caso di perdita di valore degli stessi) a 30 trilioni di dollari. Se il governo americano fosse intervenuto tempestivamente a garanzia dei pagamenti dei mutuatari la fonte della perdita di valore degli ABS e dell’aumento di rischio per i venditori di CDS (in entrambi posseduti dalle grandi banche di tutto il mondo) sarebbe stata arginata e il veleno sarebbe stato estratto dai titoli tossici. L’esborso sarebbe stato tutto sommato contenuto perché limitato alle rate sui mutui subprime e a quelle che i mutuatari non erano più in grado di corrispondere. La crisi finanziaria avrebbe potuto forse essere di breve durata non trasmettendosi al settore reale e non generando la recessione. Invece, le autorità USA, tirate per la giacchetta da varie parti, hanno deciso di procedere a tentoni e a sportello e qualche giorno fa il segretario del Tesoro Geithner ha proposto un piano di salvataggio delle banche fino ad un valore teorico di 2 trilioni. Nessuna sorpresa dunque che i mercati (non apprezzando la strategia e non sapendo bene quali e quanti buchi bisognerà tappare) reagiscano male alla notizia e Wall Street perda il 4,9 percento (rigorosamente si dovrebbe valutare il rendimento “anormale” spiegato da questa notizia che comunque sospettiamo essere significativo). Il piano non è chiaro su molti punti. E’ di moda oggi pensare alla bad bank come il deus ex machina che può assumersi l’onere dei titoli tossici togliendoli dai bilanci delle banche. Ma siccome in economia non esistono “pasti gratis” se i prezzi dei titoli tossici sono troppo bassi l’intervento delle bad bank può far fallire le banche costringendole a far emergere in bilancio perdite enormi. La vera questione, ancora una volta, è il valore dei prezzi dei titoli tossici sul mercato secondario e l’identificazione di strategie in grado di generare aspettative di un’aumento dello stesso. Solo in questo modo tutto il meccanismo potrà funzionare.rn
Il nostro paese intanto fa il suo gioco e tenta una strada rischiosa facendo leva sui suoi pregi e difetti strutturali. La crisi da noi ha colpito molto meno il sistema bancario (per via dei famosi anticorpi solidali che lo rendevano, per nostra fortuna, alunno indisciplinato e restio a cavalcare appieno le magnifiche sorti progressive della nuova finanza) ma ha investito in pieno l’economia reale, fondata in larga parte sull’export ed in crisi per il crollo della domanda mondiale.
Siccome lo stimolo alla domanda della politica fiscale per essere efficace deve essere a livello mondiale, e poiché il nostro debito pubblico è tra i più alti, abbiamo una giustificazione per non caricarci sulle spalle l’onere dell’intervento lasciando che siano altri (USA, Germania) a fare lo sforzo ridando tono alla domanda mondiale anche a nostro beneficio. Contando anche sulla speranza che, a fine crisi, il debito italiano non sarà più un’anomalia vista la crescita molto sensibile dei debiti dei maggiori paesi industrializzati. Per fare solo un esempio, se sommiamo il debito pubblico al debito delle famiglie su PIL gli Stati Uniti ci hanno ormai raggiunto.
La strategia è sicuramente rischiosa e non sfrutta l’opportunità scaturita dalla crisi di effettuare alcune riforme strutturali a costi non elevatissimi che potrebbero rilanciarci (non dimentichiamo che la crisi stessa è stata preceduta in Italia da molti anni di stagnazione). Bisognerebbe pertanto puntare sull’ammodernamento e il potenziamento delle infrastrutture, armonizzare gli interventi di integrazione del reddito per le fasce più povere rendendoli universali e varare una riforma dei contratti di lavoro per eliminare la “trappola della precarietà dovrebbero essere le linee guida dell’azione del governo.
Riuscirà l’azzardo ? Vediamo se ancora una volta la principale virtù nazionale, la proverbiale tenuta e quel surplus di energie che gli italiani sanno tirare fuori nei momenti di maggiore crisi, basterà a salvarci e a farci vincere la rischiosa scommessa.