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Molti si chiedono se la legge finanziaria 2008 in discussione in Parlamento ‘riconosca’ la famiglia e il suo ruolo nella società. C’è chi sostiene di sì, perché – secondo questa tesi – la famiglia sarebbe pienamente tutelata e non ci si dovrebbe attardare a fare tante distinzioni tra le varie forme di convivenza. 

Si capisce allora come il testo della Finanziaria e dei collegati prevedano una serie di misure (bonus agli incapienti, sconti sull’Ici, una unificazione di detrazioni e assegni familiari che è sostanzialmente una partita di giro, ecc.) che si riferiscono genericamente a qualsiasi situazione di aggregato domestico. Il loro scopo è quello di fare sì che la gente non resti a piedi prima della fine del mese. La famiglia trova qui la sua collocazione come etichetta di riferimento per una politica di emergenza contro la povertà. Se questo sia un effettivo riconoscimento della famiglia andrebbe quantomeno discusso. La realtà è che le famiglie rimangono penalizzate nel fare famiglia, perché non vengono rimossi i fattori di iniquità verso chi si impegna a relazioni di reciprocità nella coppia e ad avere figli. Ad esempio, continua la redistribuzione (perversa) di importanti risorse economiche dalle famiglie allo Stato se si considera che il prelievo per gli assegni familiari supera di gran lunga quanto viene ridato alle famiglie e viene utilizzato per appianare altri debiti nella spesa pubblica. Fare una vera politica familiare richiede la modificazione di questo meccanismo, come di tanti altri che portano al persistere di una reale mancanza di riconoscimento di quanto le famiglie fanno per sostenere il Paese, specie per quanto riguarda il costo dei figli, ma anche di tutte le altre attività di cura. Le famiglie attendono equità sociale, sia verticale sia orizzontale, nella distribuzione e redistribuzione delle risorse. Non chiedono elemosine o promesse. Chiedono che le misure siano tali non solo da poter arrivare alla fine del mese, ciò che riguarda tutte le singole persone come persone, ma di poter essere riconosciute nelle funzioni sociali che esse svolgono in quanto si impegnano al bene comune del Paese attraverso la produzione di quel capitale sociale e umano che è loro specifico. Tutto questo sembra ancora una volta rimandato al futuro. Il riconoscimento economico e sociale delle famiglie, specie se numerose (e in Italia lo sono già da tempo quelle che hanno 3 o più figli), segna dei deficit assai vistosi. A quando un reale riconoscimento delle famiglie nella legge che ridistribuisce le risorse del Paese?
 
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