Nonostante quello che è accaduto sia sotto gli occhi di tutti alcuni economisti (pochi per la verità, forse gli ultimi dei Mohicani) hanno il coraggio di dire che la crisi finanziaria globale è colpa dello Stato. Sono talmente preoccupati del rigurgito statalista e dalle sue possibili degenerazioni da approntare una linea difensiva del mercato veramente improbabile.

Se vogliamo rendere veramente un servizio al mercato aumentando la sua capacità di creare benessere è invece importante ribadire con chiarezza che siamo di fronte a due questioni separate. La crisi è colpa dello stato? la risposta è ovviamente no. La statalizzazione permanente dell’economia è la soluzione della crisi ? No anche in questo caso. Non si vede pertanto per quale motivo, per scongiurare una pubblicizzazione eccessiva dell’economia si debbano travisare i fatti.rn

Il flebile appiglio della responsabilità dello Stato nella crisi nasce dai mutui concessi dalle due grandi banche americane Fannie Mae e Freddie Mac sui quali ci sarebbe stata una implicita garanzia pubblica (ovvero l’aspettativa che lo stato sarebbe intervenuto in difesa dei due giganti del credito nel caso di difficoltà finanziarie).

L’unica traccia dello Stato nella dinamica della crisi è questa. In tutto il resto lo Stato non c’entra niente. Non c’entra nel passaggio ad un modello nel quale le banche, invece di mantenere a sé il rischio di credito, lo cedono ai cartolarizzatori e fanno venir meno il monitoraggio dei clienti. Senza le cartolarizzazioni la crisi dei mutui delle due grandi agenzie americane sarebbe rimasta una crisi locale circoscritta. La crisi diventa globale perché il rischio si moltiplica attraverso i CDO (collateralised debt obbligations) e i CDS (credit default swaps) con i quali i possessori di CDO intendono assicurarsi dal rischio di default di tali titoli.

Ma il punto centrale è un altro. I mercati finanziari sono pieni di titoli dalle caratteristiche più diverse (pubblici, privati, coperti più o meno da assicurazioni o da garanzie implicite). Il mercato, formato da agenti razionali, non deve fare altro che prezzarli correttamente tenendo conto di tutte le possibili contingenze e dei risultati collegati ad esse.

La verità è che le obbligazioni legate ai mutui subprime sono state prezzate dal mercato violando tutte le leggi di gravità finanziarie. La regola fondamentale per la quale deve esistere una stretta corrispondenza tra rendimento e rischio è stata violata perché le obbligazioni legate ai subprime davano buoni rendimenti (coerentemente con il rischio in esse contenute) ma erano valutate dalle agenzie di rating a rischio minimo. In sostanza tali obbligazioni avevano la tripla A (minima probabilità di default) anche rendendo molto di più di tutte le altre obbligazioni tripla A esistenti sul mercato.

In estrema sintesi dunque le responsabilità nascono da una serie di fattori (incapacità di prezzare correttamente i titoli, ruolo delle agenzie di rating, leva eccessiva delle banche d’affari, regole di patrimonializzazione inadeguate) nei quali è l’assenza di regole e non la presenza invasiva dello Stato a scatenare la crisi.

Non facciamo un buon servizio né allo Stato né alla capacità del mercato di emendare i suoi errori se non riconosciamo questo. La strada per evitare fenomeni di questo genere è chiara: un mix di nuove regole e la promozione della “biodiversità” imprenditoriale e bancaria dove coesistono imprese con obiettivi differenti e non solo quelle che intendono massimizzare i profitti. Ricordiamo ancora una volta che sono le banche cooperative (con obiettivi sociali e soggette in toto alla disciplina di mercato) ad uscire meglio dalla crisi. Al contrario la ricerca ossessiva di una parte del sistema bancario di profitti più elevati per gli azionisti (che la tradizionale attività creditizia non poteva più assicurare) è stata la molla che ha alimentato e amplificato gli effetti del fallimento dei mutui subprime.

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