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Giovedì 24 gennaio 2008 tutti i nodi del “prodismo” sono venuti al pettine. Potremmo scrivere che il secondo governo Prodi sia caduto a causa di una congiura ordita dalla magistratura, oppure dalla decisione dei poteri forti di non appoggiare più quel governo; ovvero, avremmo ragione di affermare che l’ennesima crisi sia dovuta al reiterato trasformismo di qualche senatore.

Tutto vero: la magistratura ha tirato un colpo basso al partito-famiglia-clan di Mastella, Lamberto Dini è noto che oltre se stesso e sua moglie rappresenta qualche significativo potere forte ed è indubbio che il trasformismo costituisce una malattia congenita della giovane e malconcia democrazia italiana; non è un caso che di simile malattia si sono giovati ed hanno patito alternativamente il centro sinistra ed il centro destra. Dunque, le ragioni della crisi sono molteplici e tutte calzanti, ad ogni modo esse rappresentano l’epifenomeno di una ragione ben più profonda, le cui radici sono rintracciabili nella filosofia politica del “prodismo”; un’interpretazione della storia contemporanea che ha attraversato e condizionato la storia repubblicana e che negli ultimi quindici anni ha conosciuto il concreto tentativo di essere inverata. Per carità di patria, con ciò non s’intende minimamente sostenere che le ragioni che oggi manifestano la crisi siano l’esito intenzionale o riflesso della suddetta filosofia! Sappiamo bene che l’interpretazione dei fenomeni sociali non può sfuggire dalla constatazione che istituzioni e fenomeni il più delle volte sono l’esito non intenzionale – irriflesso – di azioni umane intenzionali: ciò che filosofi e scienziati sociali chiamano “eterogenesi dei fini” o teoria delle unintended consequences. Ebbene, il “prodismo” ha voluto rappresentare la forma aggiornata e a tratti sfigurata di quell’idea della modernità, di democrazia e del problema politico dei cattolici che considera il secolarismo un esito inevitabile della vicenda storica occidentale. L’assunto teorico dal quale prende forma tale congettura è che la modernità rappresenta il luogo nel quale i cattolici sperimentano la possibilità di liberarsi dalle scorie dell’“antico regime” e di congiungersi con le anime culturali più avanzate per essere definitivamente traghettate sulla sponda della modernità, la “città ideale” dove finalmente ai cattolici è riconosciuta la piena e legittima cittadinanza democratica. Una tale filosofia politica, prima di intercettare in Prodi il suo epigono, ha conosciuto alcune tappe fondamentali. Negli anni immediatamente precedenti il Concilio Vaticano II era abbastanza diffusa la convinzione che la filosofia del futuro fosse una “filosofia dell’uomo” in grado di conciliare l’esistenzialismo ateo con quello religioso e, in virtù di tale conciliazione, il secondo avrebbe avuto la meglio sul primo. Le cose andarono diversamente ed abbiamo assistito al cedimento dell’esistenzialismo religioso nei confronti di quello ateo e al confluire di quest’ultimo nel marxismo. In seguito a questa evoluzione i cosiddetti “progressisti” si videro costretti a notevoli cedimenti nei confronti del marxismo. La crisi della DC ed il suo successivo scioglimento all’inizio degli anni Novanta sembrarono spianare la strada verso ciò che appariva alla mente di illustri intellettuali cattolici e non come l’esito inevitabile del problema politico dei cattolici. A questo punto, una parte della classe dirigente del Partito Popolare individuò in Prodi colui che, in chiave tecnocratica e post-ideologica, avrebbe potuto realizzare il traghettamento dei post-democristiani verso i post-comunisti. La DC aveva esaurito il suo compito, quello di convertire i cattolici alla democrazia, non le restava altro che suicidarsi. Oggi il “prodismo” è morto e con esso appare tramontata questa interpretazione del ruolo della DC. Al “prodismo” – un “dossettismo” aggiornato e sfigurato in chiave tecnocratica – da sempre si è contrapposta l’idea “leoniana”, “sturziana” e “degasperiana” di democrazia cristiana. Secondo questa interpretazione, la DC, piuttosto che vestire gli abiti di Caronte, avrebbe avuto il compito di veicolare il concetto, caro al Magistero sociale della Chiesa, che la democrazia perché si preservi e prosperi è opportuno che incontri il messaggio e la testimonianza cristiana. È questa la risposta al problema politico dei cattolici, un problema che la fine del “prodismo” e la nascita del PD consentono di ripensare in chiave sturziana e degasperiana.

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