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Quest’anno, la festa dei Santi Pietro e Paolo è caduta in un momento difficile per la Chiesa e dietro al racconto di Pietro liberato dal carcere ed al monito di Paolo, contro le divisioni delle prime comunità, è sembrato di poter leggere una profezia sui giorni nostri. Mentre si consuma la frattura tra Conferenza episcopale e Governo belga, la Corte suprema statunitense ammette la possibilità di citare in giudizio la Santa Sede per i risarcimenti alle vittime di pedofilia e l’episcopato italiano è colpito dallo “scandalo della cricca” si leva la tentazione di gridare al complotto. Ma il Papa non ci sta  e ribadisce che la Chiesa, più che dalle persecuzioni esterne, subisce danno dall’infedeltà dei suoi membri.

 Parole pesanti come pietre, in un clima reso rovente non soltanto dal sole. Ma Benedetto XVI le pronuncia con sofferta fermezza, contestualizzandole in una celebrazione che è tra le più eloquenti del Ministero petrino. E’ tradizione, infatti, che in questo giorno il Papa “conceda” ai nuovi Arcivescovi il così detto Pallio. Di fatto è una sorta di sciarpa di lana bianca, che il Presule porta sulle spalle. Esprime il particolare legame di fedeltà e di obbedienza che lega ogni Arcivescovo alla “Prima Sede” e sottolinea la corresponsabilità di ogni Metropolita a difesa della libertà e dell’unità di tutta la Chiesa. Un equilibrio dinamico, dunque, che rimanda a quei principi cardine di collegialità e di sussidiarietà che sono veri e propri strumenti giuridici. Ma prima ancora di tutto questo, il Pallio ricorda a chi lo indossa (per primo al Vescovo di Roma) il dovere di conformarsi al “Buon Pastore”. E’, dunque, un monito di dedizione pastorale e simboleggia il peso soave di ogni credente che, come la pecorella del Vangelo, deve essere cercato e sostenuto, ma soprattutto rispettato ed amato. Questa doppia dimensione esprime bene la natura della Chiesa. C’è la gerarchia, il governo, la politica, ma prima di tutto ci sono i fedeli, la loro accoglienza, il loro ascolto e la loro cura. Due realtà che sembrano spesso lontane se non addirittura configgenti, ma che invece, facendo sintesi, sono la peculiarità di un corpo unico. Ed è compito di chi governa tenere unito questo corpo, sostenere questa tensione ed operare, quotidianamente, questa sintesi; anche con il mare in tempesta. La secolarizzazione dei costumi e gli scandali degli ultimi mesi hanno inevitabilmente minato la fiducia che la gente riponeva nella Chiesa. Preti colpevoli di pedofilia, Vescovi accusati di connivenza ed omertà, ipotesi di corruzione dei Cardinali, compromessi di bieco livello tra curia e politica….Insomma, ce n’è stato abbastanza perché la realtà superasse la più fervida fantasia dei giallisti di genere clerical. La Santa Sede ha reagito con fermezza e con determinazione. Non negando le responsabilità del clero, come purtroppo è stato fatto erroneamente in altri casi, ma trovando la forza di sottoporre tutta la Chiesa ad un severo esame di coscienza. Il Papa in persona ha gridato lo scandalo e la vergogna per una correità nel male e anche ieri è tornato sulla gravità di una situazione che mina dall’interno la credibilità delle Istituzioni ecclesiastiche. Non solo parole, ma fatti. Ha disposto il commissariamento della Chiesa irlandese e quello della Congregazione dei Legionari di Cristo e, nel frattempo, prosegue in un ricambio dei vertici della Curia, che aveva cominciato già all’indomani della sua elezione e che va ben oltre la semplice sostituzione nei ruoli di governo. Un avvicendamento che mai, come sotto la guida del pastore tedesco, si sta trasformando in una vera e propria internazionalizzazione del governo della Chiesa; lo dimostra la lista dei trentotto arcivescovi che ieri hanno ricevuto il Pallio. Si va dall’estremo oriente all’America, senza dimenticare il vecchio continente, né una nutrita delegazione africana. Segno di una Chiesa veramente cattolica, che ha bisogno di un governo sostanzialmente rappresentativo della propria universalità? Certamente si. Ricchezza e bellezza di una pluralità di culture, di tradizioni, di lingue e di popoli che si accordano nel professare un’unica fede. Ma anche realistica consapevolezza che dalle tentazioni del potere e del denaro gli uomini di Chiesa non sono immuni per natura, ma, come ogni altro, soltanto per virtù. Ed allora è sempre meglio evitare di indurre in tentazione, o di porre in difficoltà coloro che sono chiamati a ricoprire simili incarichi. Tutti, sembra aver voluto dire la Santa Sede intervenendo qualche giorno fa sulla questione dei rapporti tra il Cardinale Sepe e l’ex Ministro Lunardi, nel momento in cui gestiscono ingenti patrimoni, possono essere soggetti ad errori di valutazione, ma proprio per questo è bene che certi affari vengano gestiti da persone lontane da certi “giri locali”; perché, spesso, neanche la buona fede può essere sufficiente. Chi sa, forse fu proprio questa la convinzione che indusse Benedetto XVI a sostituire con il Cardinale indiano Dias, Sepe; già segretario generale del Giubileo e poi prefetto di Propaganda Fide.. Forse sarà questa l’idea che guiderà il Papa nello scegliere i nuovi responsabili di curia, i nuovi Cardinali, i nuovi Arcivescovi. Forse ci riuscirà a rinnovare il governo terreno della Chiesa. Del resto, da duemila anni, a Roma le rivoluzioni non si fanno tra le armi, ma con la porpora e le vere crociate che la Chiesa ha sempre vinto, sono state quelle con se stessa. Del resto lo scopo non è quello di imporre a qualcuno la gogna, ma quello di tornare a portare sulle proprie spalle (cominciando da quelle dei ministri) il giogo dolce del buon pastore.

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