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La redazione di benecomune.net, all’indomani delle elezioni, vuole essere presente con riflessioni,  commenti e proposte sul nostro panorama politico. La speranza è quella di avviare un dibattito proficuo, in un momento di decisioni e cambiamenti importanti per il Paese e per il Bene Comune. 

Vi proponiamo la lettura degli articoli di Flavio Felice, Un’analisi, all’indomani del voto, nel quale ci si  interroga anche sul ruolo dei cattolici; Leonardo Becchetti, Quando un paese è al palo, vince sempre l’alternanza, e il commento di Cristian Carrara sul clima elettorale e gli exit-poll

Un’analisi, all’indomani del voto

Flavio Felice
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La partita più importante, quella per il Governo del Paese, l’ha vinta Berlusconi, la partita più difficile, quella per non far naufragare il neonato Partito Democratico, nonostante Prodi, il prodismo e le note vicissitudini dei suoi interpreti in Campania, l’ha vinta Veltroni. La partita impossibile, quella per la sopravvivenza, l’hanno vinta Casini e Pezzotta.

È evidente che si tratta di un confronto del tutto asimmetrico, la vittoria per il Governo è incommensurabilmente più importante per le conseguenze sull’azione politica e sul ruolo dell’Italia in ambito politico, economico e culturale della vittoria per la sopravvivenza di una o più rispettabili classi dirigenti che hanno tentato con maggiore o con minore successo la disperata e, nel caso del PD, geniale operazione di trasformare una sicura sconfitta in una opportunità per il futuro.

Analizziamo attentamente la situazione nella quale si è trovato Veltroni all’indomani della caduta del Governo Prodi. Il leader del PD avrebbe potuto proseguire sulla scia del prodismo e, cavalcando l’anti-berlusconismo più esagitato, avrebbe potuto sommare tutto le forze dello schieramento avverso al PDL e andare incontro ad una tanto prevedibile quanto disonorevole sconfitta, magari di misura, ma che avrebbe di certo azzerato l’indiscutibile e positivo interesse che hanno accompagnato la nascita del Partito Democratico, oltre ad escludere il suo leader dal novero dei possibili candidati premier del centro-sinistra quando, alle prossime elezioni, verosimilmente, Berlusconi non sarà più il candidato del PDL. Sarebbe stato un suicidio politico tanto per il PD quanto per il suo leader Veltroni. A questo punto, credo che Veltroni abbia puntato tutto sul lungo periodo. La sconfitta era praticamente certa, tanto valeva saltare un turno e dare un segno inequivocabile di discontinuità, sganciandosi da posizioni ideologiche che in altri paesi da decenni sono ordinate nell’archivio della storia sotto la voce: “orrori ed errori”, tentare di fare il pieno dei voti come PD, fagocitando gli elettori della sinistra estrema e candidandosi a diventare il primo o il secondo partito in Italia.

Oggi Veltroni ha perso la battaglia per il governo del Paese, ma il suo partito è una grande realtà (quantitativamente) che si candida a governare il Paese domani. Credo che la cifra della saggezza politica di Veltroni si misuri nella sua capacità di saper attendere, senza farsi terra bruciata intorno. Sa benissimo che l’età gioca a suo favore e che il PDL senza Berlusconi non sarà la stessa cosa, non avrà la stessa forza e, soprattutto, non saprà gestire Bossi nello stesso modo. In definitiva, non potendo vincere oggi, Veltroni ha tentato di ipotecare in posizione di forza la sua ricandidatura alla prossima tornata elettorale.

Ebbene, se Veltroni aveva di fronte due risultati utili, uno improbabile – la vittoria – ed il secondo plausibile: fare il pieno dei voti sfondando a sinistra, espellendo la sinistra massimalista e socialista dalle aule parlamentari, Berlusconi si è presentato con un solo colpo in canna: stravincere le elezioni, qualsiasi altro risultato sarebbe stato una sconfitta. Ebbene, così come Veltroni è riuscito nel suo obiettivo più realistico e modesto, Berlusconi ha centrato in pieno l’unico obiettivo che poteva prefiggersi. Ha stravinto con il partito e la coalizione che lui stesso avevo scelto, escludendo l’UDC di Casini e la Destra di Storace. Valgono poco le obiezioni sul ruolo egemone della Lega di Bossi, non perché Bossi non faccia valere il suo peso, ma semplicemente perché Berlusconi non lo considera un elemento destabilizzante nell’azione politica, anche perché sarebbe orientato a sbarazzarsi anche di Fini, “promuovendolo” alla presidenza della Camera. Ad ogni modo, ciò che conta è che oggi Berlusconi avendo stravinto non ha più alibi, potrà solo governare, rispettando le promesse elettorali. Non essendoci più i guastafeste Casini e Buttiglione, nonché la spina nel fianco Follini, in teoria l’azione di governo non dovrebbe conoscere più “inciampi democratici”. Quelle lunghe discussioni che irritano tanto coloro che credono di sapere già tutto, il come ed il perché dei problemi, e che non vedono l’ora di entrare nella cabina di comando per muovere le leve così come solo un “dio” saprebbe fare.

In questo quadro, che ruolo giocano i cattolici che hanno tentato di sopravvivere al fuoco di fila berlusconiano e veltroniano del voto utile? L’Unione di Centro, quelli dello strurziano Scudo Crociato, potrebbe giocare un ruolo importante, nonostante la scarsa rappresentatività al Senato, a condizione che promuovano autenticamente ed immediatamente una fase costituente che parta dalla società civile, dai movimenti, dai centri studi, dalle realtà vive del Paese. Casini, Buttiglione e Pezzotta rappresentano tre espressioni della storia del cattolicesimo politico italiano, ciascuna delle quali è portatrice di notevoli meriti e di qualche limite. È indubbio che negli ultimi quindici anni hanno prevalso i limiti, una forte litigiosità, una certa autoreferenzialità, la supponenza di voler rappresentare da soli la complessità del mondo cattolico, fino ad arrivare all’arrendevole suicidio di chi, coerentemente con una certa interpretazione della storia contemporanea, ha deliberatamente rinunciato a lavorare per la costruzione di un partito “di” cattolici, sturzianamente popolare, laico e liberale per approdare ad una sorta di “sincretismo qualunquista”, in compagnia della Bonino e di D’Alema nella famiglia radical-socialista, ovvero, per consegnarsi armi e bagagli al “populismo ludico” di Berlusconi e dei suoi “fedeli” alleati.

Forse queste elezioni potevano essere giocate un po’ meglio dall’Unione di Centro, facendo emergere il valore aggiunto di tante realtà che hanno aderito a quel progetto; forse i cattolici del PD non hanno ben considerato l’ipotesi che una vittoria di misura di Berlusconi, resa tale da una maggiore affermazione dell’UDC al Senato, avrebbe potuto veramente rivoluzionare lo scenario politico, ricollocando i cattolici al centro dell’azione politica italiana. Anche su questo punto credo che i cattolici del PD debbano iniziare un’attenta autocritica e riconsiderare la prospettiva della Costituente di Centro.

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Quando un paese è al palo, vince sempre l’alternanza
Leonardo Becchetti

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Al di là delle consuete esaltazioni dei vincitori e condanne degli sconfitti, i risultati delle elezioni sembrano rispettare una legge ferrea delle competizioni elettorali dalla seconda repubblica in poi: quella dell’alternanza per la quale nessuna coalizione in carica riesce ad essere confermata per un secondo mandato. La spiegazione di questa regolarità finora mai violata è semplice: l’integrazione globale dei mercati vede da tempo l’Italia come l’anello più debole del sistema economico mondiale (con una crescita più bassa degli altri paesi europei, delle economie in transizione, dei paesi emergenti, degli Stati Uniti e persino dei paesi africani). Nessun governo (tra i due precedenti governi Prodi e Berlusconi) è riuscito ad invertire questa tendenza. Di conseguenza le coalizioni al potere arrivano usurate al momento delle elezioni e gli elettori (con memoria ben chiara della legislatura in corso e un po’ più labile di quella precedente) sperano con il cambiamento possa invertire la rotta.

Queste elezioni in particolare sono arrivate in un momento internazionale particolarmente delicato. La crisi finanziaria dei mutui subprime ha duramente colpito le nostre prospettive di crescita (anche se per fortuna non ha avuto ripercussioni gravi sul nostro sistema finanziario), le dinamiche dei prezzi del petrolio e dei prodotti alimentari (non certo sotto il controllo della politica nazionale) hanno creato un improvviso peggioramento della situazione dei ceti più poveri. Tutto questo ha alimentato il risentimento nei confronti del passato governo.

Alla luce di questa situazione l’esaltazione delle doti strategiche e premonitrici dei vincitori e la condanna senza appello degli sconfitti sembra sinceramente un po’ sopra le righe. Abitudine tipica di un costume nazionale nel quale allenatori e squadre sono giudicati sulla base delle vittorie/sconfitte delle ultime due partite. La genialità dei leader di partito si vede quando riescono a mantenere o ad aumentare i consensi dopo essere stati per cinque anni al governo e non quando raccolgono i facili frutti del desiderio di cambiamento e della sfiducia verso chi ha governato sino al momento delle elezioni.

Un dato nuovo importante però è che mai come questa volta la maggioranza ha ampi margini di manovra ed appare relativamente meno disomogenea che nel passato.

Ci attendiamo adesso una politica attenta alla situazione dei più deboli capace di non allentare il controllo sul debito, grazie alle risorse generate dal proseguimento della lotta all’evasione e da una politica di valorizzazione del patrimonio pubblico. Capacità d’iniziativa sul fronte delle infrastrutture. Una guardia alta sui temi della legalità come desiderato e auspicato finalmente dagli stessi industriali vittime dell’economia criminale. Soluzioni sul fronte della politica dell’energia e della tutela ambientale. Maggiore attenzione ai problemi delle famiglie e capacità di valorizzare e vitalizzare le iniziative dal basso della società civile.

Come ha saggiamente ricordato Casini, al di là delle nostre idee politiche, da italiani dobbiamo sperare (è nostro dovere sperare) che il futuro governo in carica ce la faccia perché il paese non si può permettere altri passi falsi. 

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Exit-poll? Fine dello spettacolo!
Cristian Carrara

Con queste elezioni finisce una delle campagne elettorali meno appassionanti della storia della nostra Repubblica. Finisce con l’ennesima pessima figura di chi ci ha proposto exit-poll e sondaggi “pseudo scientifici” che, neanche a farlo apposta, si sono dimostrati lontani dalla realtà delle cose.

Nasce legittimo il dubbio, rispetto ai sondaggi, se questi servano a dare una lettura della realtà o ad indirizzare in qualche modo il consenso. Dubbio che si è affacciato spesso ai nostri occhi in questa campagna elettorale. Rispetto agli exit-poll invece resta fitto il mistero. Questi vengono resi pubblici quando la gente ha già votato e dunque non v’è alcun consenso da condizionare. Ma è altrettanto evidente, da ciò che abbiamo visto Lunedì pomeriggio, che non vi sia nemmeno alcuna realtà da descrivere, vista la vaghezza delle “previsioni” proposte. Vaghezza tale per cui veniva dato addirittura il PD come possibile vincente. L’unica risposta che riusciamo a darci è che, anche e soprattutto in tempo di elezioni, serve qualcosa che faccia “spettacolo”. Che faccia passare il tempo in attesa dei risultati definitivi. Che si improvvisi “cartomante”, “veggente” e che ci intrattenga con l’oroscopo della politica italiana. C’è bisogno di dire qualcosa che inganni l’attesa. Perché l’attesa va ingannata, come il silenzio. Va ingannata riempiendola di parole. Spesso inutili. E’ la legge dello spettacolo. Dell’intrattenimento. 

Ma perché, se si sono usati metodi “scientifici”, i risultati fornitici sono stati così poco corrispondenti al vero? Forse perché anche la scienza ha i suoi limiti. E, almeno qui, dove non stiamo discutendo dell’origine della vita, varrebbe la pena ammetterlo.

O forse perché la gente vota una volta sola, in cabina elettorale, e vota segretamente. E dopo aver votato, a qualsiasi richiesta di voto supplementare, anche se richiesto per realizzare un sondaggio “scientifico”, l’elettore ha tutto il diritto di mantenere il segreto, e magari di farsi beffe di ogni pretesa scientifica votando in maniera diversa dal voto espresso in cabina elettorale. Se così fosse non ci sarebbe nulla di strano. Anzi, sarebbe ben divertente pensare all’elettore italiano, capace di ritrovare il sorriso, e la voglia di scherzare, buggerando la “scienza” e falsando così il risultato degli exit-poll. Permetteteci di immaginarci così l’italiano medio. Capace di votare seriamente e subito dopo di mettersi alle spalle le serietà di quel momento, la pesantezza della situazione italiana, gli editoriali pro e contro il voto utile, le parole vomitate per attrarre questo o quell’elettore. Tutto questo con buona pace della pretesa di scientificità di sondaggi ed exit-poll. 

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