Abbiamo così ascoltato le opinioni più disparate. Il ministro Gelmini ci ha precisato che il crocifisso a scuola non significherebbe aderire al cattolicesimo, ma rappresenterebbe solo un simbolo della nostra tradizione.
Di quale tradizione poi si tratti resta in sospeso, di una tradizione italiana forse, propria della nostra nazione, e separabile da quella propriamente cattolica?
Un crocifisso, in altri termini, ridotto al livello del tricolore o dell’inno di Mameli?
Bersani, da parte sua, ci ha rassicurato che in fondo il crocifisso è un simbolo che non offende nessuno, una cosa del tutto inoffensiva dunque, una specie di soprammobile, forse un po’ desueto, ma innocuo, lasciamolo lì appeso, tanto che male fa?
Non sono mancati poi i colpi di genio alla Almodòvar che ci ha spiegato che per lui il crocifisso è una “icona pop”, che utilizza nei suoi film senza nessun rapporto con la fede cristiana: un gingillo insomma da appendersi al collo nei tanti festini di questa Europa finalmente liberata.
Altri infine il crocifisso lo vogliono proprio fare fuori perché anche gli atei o i musulmani hanno diritto al loro credo, e non debbono essere costretti fin da bambini a guardare per anni interi questo povero Cristo di celluloide.
Ma siamo sicuri che sia questo il vero problema? Che cosa si nasconde dietro queste polemiche formali, astratte, apparentemente tecnico-giuridiche, e sostanzialmente estrinseche, che suscitano però passioni estreme e grida in televisione?
Io credo che la questione in ballo sia ben altra e, in fondo, molto più semplice e riassumibile in una singola domanda: quel Segno, quella Croce, ci rivela in modo definitivo e tremendo il vero volto di Dio, e quindi il senso ultimo della nostra vita: chi siamo e chi siamo chiamati a diventare; oppure è un residuo figurativo di un’aberrazione storica, o perlomeno di una tradizione primitiva, di cui ci stiamo liberando?
Questa è la questione rimossa che torna e tornerà fuori con sempre più aspra crudezza, quanto più faremo finta che in fondo in fondo le questioni spirituali siano ormai superate e relegate nella privatezza delle nostre vite interiori.
La questione invece è questa ed è ineludibile: il nostro futuro di esseri umani su questo pianeta si deve orientare sui significati che scaturiscono da quella immagine, oppure deve svilupparsi liberandosi da questa immagine inquietante, senza di essa e quindi in definitiva contro di essa? I giudici della corte di Strasburgo, ad esempio, hanno dimenticato che non sussisterebbe nemmeno il concetto di un qualche diritto inalienabile dell’uomo, e quindi non sussisterebbe nemmeno la loro corte, senza quella Croce che ha distrutto ogni differenza di casta, sesso, religione, cultura, e classe, dando ad ogni essere umano una dignità assoluta?
Nel suo ultimo libro “Cristo filosofo” (Garzanti 2009) il filosofo francese Frédéric Lenoir, a tal proposito, scrive: “è stata la teologia cristiana a formulare la nozione di persona umana come viene oggi intesa laicamente, quando parliamo, per esempio, dei diritti inalienabili, della dignità assoluta o del valore inviolabile della persona umana”.
Dire cioè che la Croce violerebbe un qualche diritto umano è semplicemente un controsenso, dal punto di vista storico e filosofico, anche se la storia del cristianesimo trabocca del sangue versato proprio violando il significato ultimo di liberazione totale dell’uomo, insito nella Croce.
Se sapessimo ancora pensare ci renderemmo conto che il bivio epocale, verso il quale ci stiamo ancora confusamente e ben poco consapevolmente avviando, sta tutto qui: vogliamo proseguire la rivoluzione antropologica iniziata con la Croce, purificando la stessa storia del cristianesimo e dell’Occidente europeo, oppure vogliamo tornare indietro?
Ancora Lenoir scrive: “Gesù ha portato un cambiamento, un capovolgimento, di tutti i valori religiosi tradizionali. Egli ha desacralizzato il mondo, lo spazio, l’autorità del passato e della tradizione, la logica sacrificale”. Perciò l’Occidente cristiano porta dentro di sé una spaventosa potenza corrosiva, un rovello continuo, un anelito irrefrenabile all’autopurificazione, all’autocorrezione, e all’autocritica. Perciò la modernità e le sue accelerazioni, scientifiche, politiche, e tecniche, sono intrinsecamente cristiane e cioè messianiche, nella loro scaturigine più profonda. Perciò la fede cristiana non potrà mai identificarsi con una cultura o con una tradizione storica stabilizzate e chiuse in se stesse.
Il Cristo in Croce è anzi, in un certo senso, la confutazione di qualsiasi cultura umana asserragliata nelle proprie arroganze, e di ogni assetto di potere (politico o religioso che sia), che, come ci insegna l’antropologo René Girard (uno dei pochi che ancora pensi in Europa), è sempre in qualche modo fondato su un assassinio, su una menzogna: “Satana è anche il signore della cultura umana, che non ha un’origine diversa dall’assassinio della vittima. In ultima analisi è il diavolo, ovvero, in altre parole, il cattivo mimetismo, a porsi all’origine non solo della cultura cainica ma di tutte le culture umane”.
Siamo disposti a seguire questa direzione evolutiva al di là di tutte le culture storiche umane? Siamo disposti a credere che la loro morte/consumazione/trasformazione stia facendo risorgere una Umanità Nuova, un unico Genere Umano su tutto il pianeta Terra? Siamo pronti a farci trans-figurare da questa umanità sorgente in noi, lasciando cadere tutto ciò che di violento e di bellico viva ancora nei nostri cuori come nelle nostre chiese, stati, partiti, culture, congregazioni, o imprese non crocifisse? Oppure vogliamo negare questa storia, e tentare di distruggerla? Oppure ancora vogliamo impadronircene, e inventarci una nuova umanità, un altro messianismo laico, una unificazione planetaria, e magari perfino una pace e una giustizia, senza Croce e senza Cristo, e quindi sostanzialmente anti-cristiche?
In fondo sono queste le due tendenze che hanno dominato gli ultimi due secoli dell’epoca moderna: fare fuori il Cristo negandone il valore: scientismo, positivismo, liberalismo, consumismo, comunicazione di massa decerebrata, cultura ridotta a genere di intrattenimento etc.; oppure fare fuori il Cristo sostituendosi alla sua forza rivoluzionaria: socialismo, comunismo, fascismo, nazismo, chiese ridotte a musei, persecuzione diretta, controfigurazione di tutte le sue espressioni: la chiesa diventa il partito, il salvatore diventa Stalin o Mao o qualche altro leader maximo, il popolo eletto diventa il proletariato etc.
E in questa seconda deformazione del volto di Cristo vanno annoverate anche tutte le manifestazioni storiche del cristianesimo, in cui appunto la Croce sia stata utilizzata a rovescio, proprio per schiavizzare l’uomo sotto un nuovo e spesso peggiore potere sacro. Teniamo sempre a mente perciò noi cristiani e noi cattolici le terribili parole di Kierkegaard: “Un’umanità in rivolta contro Dio, che si tolga di dosso il giogo del cristianesimo, sarebbe molto meno pericolosa di questo imbroglio che ha soppresso il cristianesimo, favorendo la propria diffusione in maniera fraudolenta”.
Per comprendere che questi sono i reali termini della questione credo che sarebbe opportuno tornare a leggere Nietzsche, che aveva talmente ben chiaro quali fossero ormai le uniche potenze in campo da terminare e riassumere tutta la sua opera con questa lapidaria affermazione: “Mi avete compreso: Dioniso contro il Crocifisso”. Ma siamo consapevoli di che cosa scegliamo se scegliamo come nostro dio Dioniso o qualche suo mascheramento o surrogato? Siamo disposti a seguire fino in fondo, come tentò di fare Nietzsche, le leggi spietate e radicalmente anticristiche di Dioniso? Ecco, Nietzsche, con la sua coerenza folle, mostrandoci senza infingimenti i veri termini della questione, ci sveglia da questo coma in cui è caduta la cultura europea, e ci può costringere di nuovo a pensare, e a scegliere con maggiore consapevolezza, e senza ulteriori ipocrisie politicamente corrette ma spiritualmente mortali, la direzione del nostro destino.
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Su questo tema si consulti il video di una conferenza che si intitola:
Nietzsche: Cristo o Anticristo?
Il bivio finale della storia
dal sito di Marco Guzzi
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