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Mentre il nuovo millennio si era aperto nel segno delle grandi speranze a livello mondiale con lo sviluppo della globalizzazione, l’adozione da parte delle Nazioni Unite del Millennium Development Goal che si proponeva obiettivi sfidanti per il 2015 (dalla lotta alla povertà estrema, alla tutela della salute, al miglioramento delle condizioni e delle opportunità per le donne), l’introduzione dell’euro e il trattato di Lisbona da parte dell’Europa, il primo decennio è stato molto tormentato e si chiude nel segno della crisi ricorrente.

Alcuni fenomeni che hanno caratterizzato il decennio appaiono indiscutibili: la decisa affermazione sullo scenario mondiale di nuovi Paesi “potenze economiche” in forte crescita anche in relazione al basso costo del lavoro (Cina, India, Russia, Brasile, Taiwan, Corea del Sud, alcuni Paesi petroliferi o produttori di materie prime ad alto valore); di conseguenza, l’enorme spostamento di ricchezza dai Paesi occidentali e di tradizionale industrializzazione (Europa, Usa, Giappone) verso i Paesi di nuova industrializzazione; la crescente concentrazione della ricchezza in gruppi ristretti della popolazione con il progressivo schiacciamento della classe media nei Paesi occidentali e il lento incremento della classe media nei Paesi con più alti tassi di crescita.

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Insieme alle teorie e alle politiche finalizzate a promuovere il libero mercato e la libertà del commercio internazionale, nel mondo si è diffuso anche un moderno modello di capitalismo di Stato che agisce tramite i potenti fondi sovrani e una significativa e determinante presenza di alcuni Stati nel definire le attività economiche giuridicamente private che vengono favorite e quelle che vengono ostacolate o vietate agli stranieri per interessi strategici del Paese. Lo stato, poi, interviene finanziando grandi programmi di spesa e di interventi pubblici a sostegno dell’economia e dello sviluppo. In tutto il mondo si è affermato il mercato dei “grandi gruppi oligopolistici” nel campo della produzione industriale, dei servizi, della finanza (con i grandi fondi di gestione del risparmio o che manovrano ingenti masse finanziarie, non di rado con fini speculativi o, almeno, di guadagno nel breve periodo).
Esistono “nicchie” di mercato per piccole e medie imprese innovative, ma le concentrazioni sembrano prevalere. Colpisce che, di fronte a questa situazione che tutti gli studiosi e gli analisti definiscono come la più grave crisi dopo quella del 1929 e che qualcuno comincia a temere possa diventare addirittura peggiore, vengano sottovalutati richiami a modificare il modello di economia da parte di ambienti autorevoli. Innanzitutto i richiami del Papa, dell’Arcivescovo di Milano Tettamanzi, di altri autorevoli rappresentanti del mondo religioso (non solo cattolico) e laico all’esigenza di ritornare a stili di vita più sobri ed essenziali sono stati liquidati dalla maggior parte dei media con informazioni brevi e spazi limitati o come un antistorico ritorno al pauperismo. Si genera così un paradosso, o meglio un’ingiustizia: di fronte a oltre un miliardo di persone che vivono in condizione di povertà estrema e ad altri tre miliardi che vivono in Paesi non ancora sviluppati si afferma nel mondo un circuito di produzione e consumo che non ha lo scopo di rispondere ai bisogni primari ma è guidato da motivazioni di status e di apparenza. Sarebbe sufficiente destinare ai Paesi poveri una quota assai limitata del PIL dei Paesi ricchi o anche delle spese belliche per migliorare le condizioni di vita delle loro popolazioni e creare anche nuovi mercati idonei ad alimentare un ulteriore ciclo di sviluppo dell’economia.
Se nel tempo vi è stato il passaggio dal concetto di consumismo a quello di consumerismo (consumo consapevole), a quello di consumo solidale (per sostenere Paesi e produttori “poveri”), si può notare che i consumi meno penalizzati dalla crisi, o che addirittura sono cresciuti, sono quelli “di lusso”.
In questo quadro la teoria dei “vasi comunicanti” sembra non funzionare su almeno tre piani, o funziona in modo distorto. In primo luogo la liberalizzazione e la maggiore apertura dei mercati ha favorito lo spostamento di ricchezza tra Paesi. Trasferimento che è coerente con le dinamiche storiche che hanno visto imperi, regni, popoli, intere civiltà emergere, consolidarsi e diventare dominanti, per poi imboccare la via del declino e del tramonto a favore di altri imperi, regni, popoli e civiltà. La speranza nata con l’affermarsi del modello di Stato fondato sulla libertà della persona, che era stata rinnovata e rinvigorita con la globalizzazione, che il trasferimento della ricchezza potesse riguardare fasce sempre più ampie di popolazione mondiale e non gli stati o limitati gruppi di potere, sembra svanire. Gli oligarchi russi o della Cina del “capitalismo attentamente sorvegliato dal partito”, i CEO di grandi gruppi industriali o finanziari che si fanno la guerra (commerciale, dei prezzi, dei giochi in borsa) seguita da accordi, armistizi o tregue armate o da “paci” più o meno stabili, che consentono di suddividersi il mercato, riproducono lo schema logico di guerre, accordi, armistizi, paci tra imperatori, re, sovrani, dittatori del passato. I cittadini sono ritornati ad assomigliare sempre più a moderni “sudditi” che hanno una mobilità enormemente superiore al passato, che vivono più a lungo, che hanno case più confortevoli, che hanno a disposizione strumenti in grado di liberarli dalla fatica fisica, dai lavori pericolosi (anche se non sempre accade), ma che devono subire manovre finanziarie, riduzione di stipendi, rinuncia a certi diritti per aumentare la produttività, modelli di consumo imposti tramite sofisticati strumenti di condizionamento dei comportamenti. Chi scrive non condivide una visione pessimistica del presente e “catastrofista” sul futuro e ritiene che le condizioni di vita dei moderni sudditi siano di gran lunga migliori di quelle dei sudditi del passato, ma nessuno può negare che i vasi comunicanti della ricchezza stiano funzionando con il passaggio di ricchezza tra gli Stati e i detentori del potere, non tra le popolazioni. Queste ultime hanno a disposizione anche strumenti più potenti per auto-organizzarsi e creare movimenti di opposizione (si pensi alla rete internet e ai social network), ma anche questi sono facilmente controllabili da chi esercita il potere, stati o gruppi oligopolistici mondiali che siano.
Un secondo processo tra vasi comunicanti che sembra non aver funzionato bene è quello tra diritti umani, civili, politici, religiosi e livello della ricchezza economica. Mentre nella prima fase dello Stato moderno il riconoscimento di queste libertà ha consentito l’affermarsi delle libertà economiche, oggi sono in profonda crisi le teorie secondo cui lo sviluppo economico può trainare lo sviluppo dei diritti umani, civili, politici, religiosi. Anzi, in molti paesi occidentali, a causa della “feroce competizione economica”, oltre che del terrorismo e di altri fattori sociologici, vi è stata un’inversione di tendenza, poiché vi è una progressiva restrizione di molti diritti. Il vaso comunicante non funziona correttamente poiché l’aumento della ricchezza mondiale globale (non equamente distribuita) ha creato una pressione nel deprimere i diritti.
Il terzo vaso comunicante che sembra non aver funzionato a dovere è quello tra identità etnica, nazionale, religiosa e tolleranza. Nei Paesi occidentali un discutibile modo di intendere la tolleranza e le politiche di inclusione è sempre più spesso quello di annullare le specificità e le identità. Nel mondo occidentale molti ritengono che essere tolleranti significhi rispettare le diverse identità senza imporre la propria (aspetto positivo), ma senza nemmeno dichiarare e difendere i propri valori (aspetto negativo). Di fronte a questa debolezza si impongono forme di “integralismo” laico e religioso, che per difendere la propria identità tendono ad escludere e a ghettizzare “i diversi”.
La speranza per il futuro si fonda sul fatto che, pur in un mondo in cui ad una crisi economica ne segue un’altra a breve periodo, in cui i conflitti locali non sembrano diminuire di numero e intensità, si hanno anche segnali di reazione dei moderni “sudditi”. Se ciò accadrà i “vasi comunicanti” di cui si è scritto torneranno a funzionare nella giusta direzione, ossia in modo da innalzare in modo generalizzato il livello dei diritti delle persone e dei popoli della terra, il benessere economico tornerà ad essere distribuito più equamente e il senso delle diverse identità potrà essere coniugato con quello della tolleranza. Chi ha fiducia nelle persone più che nell’economia può augurarsi che gli automatismi che non hanno funzionato per il mercato funzionino sul piano dei valori e dei comportamenti. Dopo una fase che ha spinto verso l’individualismo, si abbia un ritorno ad una concezione delle persone come soggetto di relazioni guidate da valori di reciproco rispetto, di solidarietà, di collaborazione.
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