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E’ grazie alla sensibilità del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che la questione degli infortuni sul lavoro ha acquistato un ruolo centrale, prima sconosciuto, nel Parlamento, nella comunicazione e nell’opinione pubblica.

E la tenacia con cui egli riafferma la sua denuncia rappresenta una spinta di straordinaria forza per un possibile miglioramento. Dopo la tragedia dell’acciaieria ThyssenKrupp si è osservato  un minuto di silenzio all’inaugurazione della Scala e il Presidente del Consiglio, Romano Prodi ha espresso il comune sentire dichiarando “’i morti sul lavoro vera emergenza nazionale”.
La questione della nocività del lavoro rappresenta, almeno quanto l’ambiente, uno dei nodi centrali delle società contemporanee. L’aumento della speranza di vita – in Italia oltre i 78 anni per gli uomini e 84 anni per le donne – è un indicatore centrale per misurare la qualità dello sviluppo, ma per i quattro operai morti la vita vissuta si è invece fermata a 26, 33, 33, 43 anni, interrompendo il futuro di una vita possibile con genitori, mogli e figli.
La nocività del lavoro è legata in modo inevitabile alla dinamica economica, nelle sue dinamiche decisionali e di accumulazione, e oggi più che mai alla globalizzazione, il che si intreccia inevitabilmente con la questione della precarizzazione del lavoro e dell’immigrazione e quindi una possibile sottostima delle rilevazioni ufficiali.
La questione centrale è che per tutelare la salute e la vita occorre prevenire sia il prevedibile che l’imprevedibile e ciò richiede un “margine di sicurezza” nel lavoro maggiore di quanto i comportamenti quotidiani possano suggerire. Siamo consapevoli del numero di volte che abbiamo scampato un rischio, ma non sappiamo – e mai sapremo – se la vita di cui continuiamo a godere sia la conseguenza di una misura di sicurezza, che di regola richiede il costo di un miglior investimento. Ciò che a livello di impresa appare come un evento “raro”, inevitabile come il destino, è invece solo una trascuratezza, che trasforma una vita possibile in una vita cessata.
E’ cruciale pensare alla sicurezza dei lavoratori fin dal momento della costruzione degli impianti, un po’ come oggi avviene per la costruzione delle case, sia prevedendo una procedura di omologazione ufficiale degli impianti, che premiando quelle innovazioni che riducono ciò che “potrebbe” accadere, come nel caso dei ponteggi edilizi.
Ma ciò deve valere per tutte le imprese italiane ed europee, per evitare che l’investimento dell’impresa socialmente responsabile non diventi invece fattore di svantaggio di una distorta competitività. Per questo occorrono sia accordi europei che accordi globali, in ambito WTO, per la certificazione degli standard qualitativi dei processi produttivi, oltre che della qualità dei prodotti. In questo modo la qualità della vita, e di quelli che lavorano, può diventare anche un fattore di competitività, non diversamente da quanto sta avvenendo per l’ambiente.
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