Nei livelli territoriali, poi, questo stato di fatto implica anche una forte contaminazione tra consenso elettorale e appoggio di settori economici, finendo questi ultimi col determinare il successo della classe dirigente territoriale.
C’è un altro dato di fatto, complementare al primo, relativo alla percezione generale che la politica ancorata a critica, pensiero e ideologie abbia ormai inesorabilmente ceduto il passo al posizionamento pubblico di leaders che, con i loro vizi e le loro virtù, incarnano sentimenti e aspettative popolari. Questo modello partecipativo, più passivo che attivo (come se si fosse spettatori di un evento sportivo o a teatro), consente di registrare, con anticipo rispetto all’agone elettorale, attraverso sondaggi, il gradimento accordato dall’elettorato non tanto e non solo ad un’idea o ad un progetto di riforma, ma soprattutto ad un attore politico.
Entro tale orizzonte si è formata negli anni una classe dirigente prevalentemente dedita ad occupare gran parte della propria esistenza nella gestione della cosa pubblica. Il che non è di per sé negativo, ove il ruolo venga svolto con onestà e competenza, ma è facile che una presenza lunga e continuativa all’interno delle istituzioni porti a determinare scelte e decisioni non sempre al servizio del cittadino, essendo compresente l’obiettivo “vitale” di una conferma del proprio percorso istituzionale. E’ urgente allora affiancare al politico di professione una nuova generazione di politici “di servizio”, che possano convivere, nella reciproca stima, con i primi. Persone, cioè, dedite abitualmente ad un mestiere o ad una professione, che decidono di impegnarsi nella politica attiva e, se del caso, candidarsi con l’impegno ad una partecipazione “a tempo” nelle istituzioni, pur rimanendo coinvolti definitivamente nell’elaborazione dei contenuti e delle idee. In questo, il ruolo dell’associazionismo cattolico è decisivo.
E’allora ineludibile che la politica, e in particolare una politica che voglia essere davvero espressione di valori fondati sul primato della persona, riprenda temi e idee che innalzano il livello del confronto pubblico, elevandolo dalla mera composizione di interessi materiali, a grandi obiettivi di portata generale in grado di ispirare la partecipazione anche emotiva dei cittadini. I luoghi tradizionalmente radicati nell’alveo del magistero della dottrina sociale della Chiesa dovrebbero essere sede naturale di elaborazione di progetti istituzionali e sociali, attenta alle istanze dei settori più vulnerabili della cittadinanza, così da poter presentare proposte tecnico-politiche in grado di rispondere alla complessità dei problemi oggi sul campo.
In questa direzione il ruolo che “pensatoi” cattolici possono svolgere nella vita democratica del Paese, risente anche della metamorfosi delle scelte sempre più ancorate a contenuti tecnici, che spesso coprono interessi economici. Questa circostanza, assieme al progressivo affievolimento di valori e principi, richiedono la presenza di fortissime competenze, che risulteranno decisive anche nell’individuazione degli interessi reali sottesi alle proposte politiche. In questo senso la presenza sul territorio italiano di atenei universitari cattolici, con livelli di eccellenza e con intelligenze che quotidianamente si dedicano alla ricerca delle soluzioni più avanzate dei problemi specifici ai vari saperi scientifici, dovrebbe essere tenuta presente nella costruzione di una nuova stagione di rifioritura etica e sociale nella partecipazione alla vita delle istituzioni.
E’ una trama faticosa certo, per certi versi eroica, ma è l’unica in grado di ridare senso al contributo dei cattolici italiani all’impegno pubblico per il bene comune.
La 46esima Settimana Sociale dei cattolici italiani si terrà a Reggio Calabria tra il 14 e il 17 ottobre.