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Un cambio nella leadership USA è ormai condizione imprescindibile per rilanciare le relazioni con la Russia che sono ad un pericoloso minimo storico. Solo dei nuovi attori possono infatti sbloccare la situazione senza far perdere la faccia a nessuno. Gli USA hanno chiaramente esagerato nella crociata contro la Russia anche se, sia tra i repubblicani che tra i democratici, vi sono falchi che continuerebbero volentieri a portare avanti lo scontro, incuranti delle conseguenze impreviste che ciò potrebbe produrre. Il paese, che si percepisce come il “vincitore” della guerra fredda e dunque come l’unica superpotenza mondiale, ha delle evidenti difficoltà nella lotta contro un nemico mobile e invisibile come il terrorismo, né riesce a contrastare la marcia verso il nucleare militare di alcuni paesi, Iran e Nord Corea in testa. Sono problemi che possono essere affrontati con successo solo grazie alla cooperazione del più largo numero di stati possibili e, soprattutto, se Mosca è della partita. Tuttavia, la politica estera americana in difficoltà sembra tornata a necessitare di un “nemico” facilmente identificabile e la Russia appare perfetta per rivestire questo ruolo, non ultimo perché a dispetto di tanti proclami in favore delle relazioni transatlantiche, le tensioni con la Russia sono foriere anche di tensioni interne alla UE e questo in ottica americana non fa mai male. Vi sono tuttavia anche molti, in entrambe i lati, che si rendono conto della pericolosità del contesto. Ma ormai la situazione è talmente incancrenita che è appunto necessario un cambio negli attori per poterla sbloccare. Detto questo – e nonostante che gli acuti più alti contro la Russia vengano dal lato McCain – nella sostanza l’approccio dei due possibili Presidenti non sarà fondamentalmente diverso. Né sarà accomodante nei riguardi della Russia. Ma già una cessazione delle ostilità sarebbe oggi di grande aiuto.
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Che piaccia o meno, bisogna riconoscere che John McCain è stato geniale: ha beffato i Democratici in modo grandioso, dimostrando che l’esperienza politica si accumula solo con il tempo e non si inventa. Scegliendo la Palin ha preso anche un rischio – della serie lascia o raddoppia – ma ha certamente rilanciato la sua immagine di “maverick”, espressione che può essere meglio tradotta con “geniale anticonformista”. I Democrats, che con la convention di Denver avevano riguadagnato terreno, si ritrovano alla pari e mostrano chiari segnali di nervosismo.
McCain, aveva fatto intendere che il candidato Vice Presidente (VP) sarebbe stato l’ex candidato di fede mormone Mitt Romney. I Democrats si sono rilassati, hanno sentito la vittoria in tasca ed hanno puntato tutto sul tema del cambiamento. Ed invece, il 29 agosto, giorno del suo 72 compleanno e giorno dopo il discorso di Barack Obama a Denver, McCain annuncia che la candidata VicePresidente sarebbe stata Sarah Palin, semisconosciuta Governatore dello Stato dell’Alaska. Chi di spada ferisce di spada ferisce, mai credo che questo detto abbia trovato migliore applicazione. Obama era riuscito ad imporsi nelle primarie grazie all’effetto novità; i media, che dei Clinton avevano ormai da anni raccontato tutto ed il contrario di tutto, avevano trovato nel semisconosciuto Obama ricco materiale per scrivere ed attrarre lettori. E si sono tuffati a capofitto nell’opera, con buona pace di Hillary Clinton. L’altro elemento che ha nuociuto alla Clinton – e sul quale McCain ha rilanciato – è stata sicuramente il suo essere donna, per quanto questo non venga ammesso né tantomeno detto ad alta voce. Troppo moglie per alcuni, troppo femminista per altri, troppo maschile per altri ancora, con tanto di polemiche infinite sul fatto che mette solo talleiurs pantaloni… In modo sublime Hillary ha scherzosamente evocato questo fatto nel suo fantastico speech di Denver, dopo il quale molti tra i Democrats hanno cominciato ad ammettere a denti stretti che forse avevano compiuto un errore di valutazione nella scelta del candidato presidente. Ma tant’è. Paradossalmente, in questo nuovo scenario, se Obama vincerà lo dovrà tutto alla Clinton, alla sua capacità di unire il partito ed al ruolo di primo piano che ormai giocherà nella campagna elettorale.
Personalmente credo che solo una piccola porzione delle elettrici che avevano votato nelle primarie per Hillary voteranno il 4 novembre per McCain. Ma non dimentichiamoci che il “popolo delle primarie” è ben poca cosa rispetto all’elettorato americano nel suo complesso ed in molte della donne indecise scatterà un meccanismo di identificazione con Sarah Palin.
A coloro che avevano osservato con attenzione il quadro politico americano, Sarah Palin non è una sconosciuta come si vuole far credere. Aveva già attirato l’attenzione per la sua capacità di rivoltare come un calzino i GOP (Grand Old Party, ovvero i Repubblicani) in Alaska, per aver strappato la Governorship ad un Repubblicano (corrotto) di lungo corso e per aver imposto gare trasparenti alla grandi compagnie petrolifere. Non è poca cosa. Nel passato aveva avuto una lunga esperienza prima nel volontariato e poi nelle amministrazioni locali, fino a diventare sindaco del suo paesino, Wasilla. In termini italiani si capisce dunque che trattasi di persona con effettiva esperienza di governo. I democratici l’hanno però subito attaccata sostenendo la sua totale inesperienza. Il problema è, come si sono subito accorti, che attaccarla è molto pericoloso. Ridicolizzando la sua esperienza sul territorio rischiano in fatti di inviare un messaggio controproducente e anche offensivo nei confronti dei tantissimi americani che nelle small communities vivono e si impegnano. Gli USA non sono NYC, LA, SFO e DC. Gli USA sono i piccoli paesini. Persino nelle grandi città si ragiona sulla base del piccolo, dello Yard e del quartiere. Il volontariato, l’impegno ed il sostegno reciproco nell’ambito della propria comunità locale, sia esso il paesino o il quartiere sono alla base del modus vivendi degli americani. Lo ha descritto Alexis de Toqueville nel 1800 ed è tutt’ora vero. Negare l’importanza dell’impegno della Palin nel volontariato prima e nelle istituzioni locali poi potrebbe essere il peggior boomerang della campagna Obama.
Ma Sarah Palin non è solo una donna politica. È innanzitutto una mamma di 5 figli che proprio in seguito all’impegno nelle attività sportive dei figli ha cominciato a muovere i primi passi nel volontariato e poi in politica. Lei stessa, nel suo primo discorso si è descritta come una “normal hockey mum”, in una terra remota e di frontiera (altro mito americano) definizione che ha mandato in visibilio milioni di mamme frustrate dai piccoli e grandi problemi quotidiani. Il messaggio implicito (e intelligentemente mai esplicito) è infatti: non importa ove siate e cosa siate CHIUNQUE può arrivare ai vertici se si impegna. E quel chiunque – messaggio che in precedenza Obama aveva cercato di dare vendendo la sua diversità in quanto Afroamericano – è assai più potente del CHIUNQUE del candidato Democratico. Afroamericano e figlio di mamma single, sì, ma anche ex allievo di scuola privata nelle Hawaii da piccolo e poi studente nelle migliori università del paese. Harvard è l’èlite del paese, ma non lo rispecchia certo.
Scegliendo Joe Biden come Vice, persona squisita, indubbio leader politico e di grande esperienza (e che sicuramente avrebbe un occhio di riguardo per l’Italia) Obama voleva cercare di raggiungere la middle class, i colletti bianchi da cui Binden proviene e che in massa avevano preferito la Clinton nelle primarie. Ma ha invece finito per far capire che è meno anti establishment e pro novità di quanto dichiarasse a parole.
E’ la Palin, non Biden, a rappresentare la quintessenza della provincia americana. Reginetta di bellezza e leader sportiva al liceo, ha sposato il suo “high school sweethart” – un lavoratore stagionale (“precario” diremmo noi) nell’industria del petrolio e nella pesca, a sua volta campione sportivo con le motoslitte, e che si autodefinisce scherzosamente “first dude” per sottolineare il ruolo attivo che gioca in famiglia, specie nel seguire i figli (negli USA è comune che il partner più debole economicamente, qualunque esso sia, si incarichi di seguire con maggiore attenzione i figli). Hanno deciso di tenere il quinto figlio, nonostante sapessero che era down. E’ chiaramente pro-life – cosa che ha esaltato la base conservatrice del partito, sospettosa di McCain. E’ tornata a lavorare 3 giorni dopo il parto, cosa che a noi sembra disumano ma che è normale negli USA dove non esiste congedo di maternità retribuito e dove già è grassa se non sia licenziati quando si torna al lavoro (tant’è che molte mamme mollano il lavoro finchè i figli non vanno a scuola).
Persino la gravidanza della figlia diciassettenne fa tanto provincia americana: si ricordi ad esempio il grandissimo successo del film “Juno”, che le chiese di ogni confessione hanno abbracciato con convinzione proiettandolo in parrocchia. Last but not least – in contrasto con l’immagine di Hillary Clinton – la Palin è femminile senza essere aggressiva e, ops! addirittura mette i tailleurs con la gonna – una specie ormai in via di estinzione nei luoghi di lavoro americani. Certo i suoi tailleurs visti con occhio italiano la vestono come un sacco di patate – a differenza nell’eleganza della moglie di McCain, Cindy – ma è lo stesso sacco di patate che l’americano medio veste e nel quale si riconosce, e che dunque efficacemente e paradossalmente bilancia le mise firmate di Cindy McCain.
Ai primi di settembre, si riparte dunque da zero. I prossimi due mesi saranno avvincenti e sicuramente pieni di colpi di scena, e probabilmente anche di molti colpi bassi. Il prossimo appuntante di grande rilievo sarà il dibattito televisivo tra i due candidato VP, il 2 ottobre. La corsa è aperta, che vinca il migliore.