Se in una coppia, o più frequentemente in una ex coppia, si scatena la violenza, il più delle volte a subirla è la donna: si chiama violenza di genere. Recenti episodi hanno mostrato il volto inquietante della fragilità maschile.

Infatti il più delle volte la violenza estrema, cioè l’omicidio, è opera di un uomo incapace di accettare l’abbandono della partner o un suo tradimento o semplicemente il rifiuto. Perchè avviene questo? E perchè alle soglie del terzo millennio questi episodi sembrano essere più frequenti e persino più crudeli? Quali fattori determinano questo fenomeno?
In realtà la violenza e l’aggressività nascono dalla paura. Occorre riflettere sulle paure maschili: è come se l’uomo d’oggi si scoprisse più vulnerabile rispetto a donne sempre più autonome, emancipate e capaci. Cadono cioè le maschere e i ruoli che hanno nascosto le debolezze e le insicurezze dell’uomo. Alla radice, però, ci sono alcune questioni:- la liquidità delle relazioni (nulla sembra più difficile rispetto alla possibilità di stabilire relazioni affettive salde, durature e progettuali);
–         gli effetti della scomparsa del padre: negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una sistematica delegittimazione della figura paterna;
–         – gli effetti di un femminismo radicale ed esasperato, nel quale per la verità le donne di oggi non si riconoscono;
–         – l’affermarsi di una modalità organizzativa della vita estremamente competitiva, efficientista e veloce, che non lascia spazio alle emozioni (cosicchè per provare emozioni è necessario ricorrere agli sport estremi, alla cocaina, alle sfide alla morte, ai viaggi e alle sensazioni sessuali più esasperate, in una affannosa ricerca di sensazioni sempre più sconvolgenti).
–         E’ in questo contesto che esplodono le fragilità maschili. Ed esplodono in modo violento, crudele, disperato. La maggior parte degli omicidi avvengono all’interno di coppie dove un uomo, debole, disperato e solo non è in grado di accettare che la donna lo lasci, lo rifiuti o lo abbandoni. Eppure questi omicidi non sono raptus della follia, come i media a volte accreditano. No, sono preceduti da innumerevoli segnali di cedimento, da una lunga e tormentata premessa, fatta di crisi, litigi, piccole violenze, minacce. Quello che stupisce è che la società non riesce ad intercettare questa catena di dolore, salvo poi stupirsi e indignarsi quando la catena si interrompe drammaticamente. Non è questione di leggi, o almeno non solo. Si tratta di drammi vissuti all’interno di una coppia o di una famiglia che nessuno riesce in qualche modo ad intercettare. Per alcuni è paradossale, siamo sempre più connessi e sempre meno in relazione. Riceviamo e inviamo centinaia di sms e di mail e stringiamo sempre meno mani. Come sostiene Hilmann, le relazioni sono state sostituite da un immensa rete, un network che ci disabilita alla capacità di leggere lo sguardo altrui. Tuttavia credo che qualcosa possa essere fatto, nell’ambito di una riflessione più generale sulla sofferenza delle famiglie, spesso lasciate sole con i loro drammi (si pensi per esempio alle famiglie con un congiunto affetto da malattie mentali gravi). Credo infatti che si possano valorizzare le risorse informali già presenti nel territorio: per esempio sviluppando, soprattutto nelle grandi città, una sorta di centri di prossimità, di antenne sul territorio affidate alle associazioni di volontariato, che potrebbero essere in grado di intercettare il dolore prima che esploda il dramma. Quando fra qualche giorno leggeremo sul quotidiano della nostra città che un uomo in preda ad un raptus ha ucciso la donna che voleva divorziare da lui, smettiamola di indignarci e diamoci da fare per ricreare una rete territoriale di solidarietà e di vicinanza. I drammi che sconvolgono le famiglie possono essere gravi, ma è molto più grave la solitudine alla quale le famiglie problematiche sono talvolta condannate.
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–         BIBLIOGRAFIA: Tonino Cantelmi, "Amori difficili", Edizioni San Paolo, 200
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