Uno dei luoghi comuni più pervicaci, che troviamo ripetuto in varie salse e forme nei mezzi di comunicazione e nei proclami delle agenzie internazionali, è quello della crescente disaffezione di giovani dei paesi occidentali per le materie scientifiche.

In Italia questo fenomeno è accompagnato da sconfortanti statistiche sullo scarsissimo punteggio ottenuto dai giovani delle scuole superiori nei test che saggiano la loro preparazione in ‘materie scientifiche’.

Questo fenomeno di progressiva disaffezione per le scienze si accompagna alla crescente occupazione dei posti di ricercatore nelle università americane di giovani provenienti da paesi emergenti come l’ India, la Cina e soprattutto Singapore che tra l’altro risulta sempre al primo posto per l’abilità matematica dei suoi studenti. Le risposte che si cercano di dare a questo problema (che comunque come vedremo è difficilmente considerabile come un fenomeno unitario) sono le più varie e vanno da una piuttosto vacua spettacolarizzazione della scienza (festival della matematica e delle scienze, musei della scienza..) all’ abbattimento delle tasse universitarie nelle facoltà scientifiche, alla costruzione di comitati ad hoc della Unione Europea per ricucire il rapporto tra scienza e società e per migliorare l’immagine della scienza (e degli scienziati) nella popolazione.

Credo che l’unico modo onesto di parlare di questo problema sia quello di rifuggire da banalità del tipo ‘l’ Italia non ha mai avuto una solida tradizione scientifica a causa della sua cultura idealista di stampo Crociano’ o ancora peggio ‘per colpa della tradizione Cattolica’. Si tratta di cose assolutamente false per vari ed evidenti motivi, primo fra tutti il semplice fatto che questa disaffezione è fenomeno di questi ultimi dieci anni, e quindi difficilmente ascrivibile a tradizioni di lunga storia, per non parlare poi del fatto che gli scienziati italiani sono unanimemente stimati e rispettati in tutto il mondo e che la tradizione Cattolica (in special modo con le scuole dei gesuiti) ha sempre dato alla formazione scientifica un posto preminente (molto maggiore di quello a lei assegnato nella scuola laica). Il problema comunque esiste e non è di poco conto, vale per questo sicuramente la pena di affrontarlo con serietà. Intanto iniziamo dalle definizioni, siamo sicuri di sapere di cosa stiamo parlando quando parliamo di ‘materie scientifiche’ ? E’ lecito accomunarle sotto un’unica denominazione e quindi implicitamente considerare che le abilità utili ad un giovane che si iscrive al corso di laurea in matematica siano assimilabili a quelle che spingono un altro a voler intraprendere lo studio della biologia oppure ad iscriversi ad ingegneria ? 

La mia risposta è ‘sicuramente no’, si tratta di studi differenti, che implicano abilità e sensibilità molto diverse fra di loro, anzi (parlo per esperienza personale) chi nutrisse (come accadde a me) delle velleità transdisciplinari deve lottare molto e scegliere dei sentieri eterodossi di solito osteggiati dal mondo accademico per costruirsi un curriculum scientifico ‘generalista’ rinunciando alla specializzazione estrema a favore di uno sguardo più ampio. A quasi cinquanta anni devo dire che la scelta ‘generalista’ mi ha molto favorito nel lavoro ma a venti anni la cosa non era altrettanto chiara e questa via mi è stata resa possibile paradossalmente dalla grande confusione che regnava nel remoto 1977 nell’ Università ‘La Sapienza’ e non senza opposizioni da parte della maggioranza del corpo docente.

 Non è facile cercare un denominatore comune che renda plausibile la categorizzazione ‘materia scientifica’ : immaginare che le facoltà scientifiche siano quelle ‘dove si studia molta matematica’ è una palese assurdità, il grado di sofisticazione matematica del 90% dei biologi è sicuramente inferiore a quello di un buon liceo scientifico, a medicina (ma medicina è una facoltà scientifica ? Alcuni direbbero di sì, altri di no) la matematica proprio non si studia, laddove un economista ha nel suo curriculum dosi di matematica sicuramente maggiori di quelle di un biologo e paragonabili a quelle di un laureato in chimica (anche se di una matematica di tipo molto diverso). D’altro canto la matematica ‘pura’ (aldilà dei proclami scritti sui manifesti dei festival) non è una scienza ma un insieme di metodiche ed una forma mentis che in molti problemi scientifici risulta di grande aiuto, ma il suo stesso carattere deduttivo (date certe premesse un ragionamento corretto porta a delle conseguenze uniche e necessarie, l’intero processo avviene all’interno di un universo di simboli con nessuna relazione obbligatoria con il mondo esterno) la rende molto diversa dallo schema base della scienza che è essenzialmente induttivo (una serie di osservazioni sul mondo esterno, apparentemente eterogenee , vengono riunite in un modello approssimato che le riassume in maniera plausibile, fermo restando che il modello resta per definizione falsificabile e superabile da ulteriori osservazioni). Ma allora di che cosa stiamo parlando ?

In realtà rimane assolutamente lecito parlare in modo unitario di scienza se consideriamo tre dimensioni fondamentali, comuni a tutte le discipline, del ‘mestiere di scienziato’:

a)      La dimensione ‘ludica’ ed anarchica.

b)      Lo sforzo collettivo.

c)      Il primato della cultura materiale sulla cultura togata.

A seconda delle differenti sensibilità questi tre ingredienti fondamentali saranno miscelati in proporzioni variabili, comunque tutti e tre devono in qualche misura essere presenti sia nel lavoro che nell’educazione dello scienziato. La prima dimensione è stata quella che ha esercitato la spinta più forte nella mia scelta accademica: la possibilità di mettere su un ‘gioco tutto mio’, una specifica ipotesi di spiegazione di un esperimento o di una serie di osservazioni che, almeno in linea di principio, non avesse bisogno di pagare nessun pegno a idee precostitutite posto che alcune regole del gioco fossero rispettate esercitava (e continua ad esercitare) un fascino irresistibile. Insomma se non tocchi il pallone con le mani e non entri a gamba tesa, il gioco che ti inventi sul campo è tuo e basta, poi però hai bisogno del resto della squadra e si passa al punto b). Ogni impresa scientifica necessita di discussione con i tuoi colleghi che apportano prospettive nuove, eseguono materialmente gli esperimenti, discutono criticamente le tue posizioni. Gli articoli scientifici quasi mai hanno un solo autore e quando capita si tratta di solito di ‘punti di vista’ su temi particolari non di tutto il processo di sperimentazione, analisi dei dati, interpretazione, modelli che costituisce una impresa scientifica a tutto tondo. Come cantava Francesco De Gregori in una sua bellissima canzone di tanti anni fa, ‘La leva calcistica del 68’ , ‘…un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia..’ e questo vale paro paro per il gioco della scienza. Questa necessità della collaborazione intreccia fortemente il lavoro con il sentimento: potrai lavorare bene solo con i tuoi amici, con le persone con cui ti puoi permettere di discutere, anche animatamente, mantenendo intatte stima e amicizia, di cui conosci debolezze e forze, piccole manie e grandi slanci.

E poi il punto c), gran parte del lavoro dello scienziato non è fatto da solitaria meditazione o profonda concentrazione, né tanto meno da studio matto e disperatissimo di voluminosi tomi, ma dalla soluzione di piccoli inciampi e problemi pratici (lo strumento che non funziona correttamente, l’analisi statistica che necessita di indici da inventare di sana pianta, le cellule che non crescono come dovrebbero..) che hanno bisogno di un sapere ‘spicciolo’ ed artigiano in cui flessibilità e sapienza si intrecciano ‘Klein werk’ (il piccolo lavoro) come lo chiamava il grandissimo Werner Heisenberg, uno dei padri della fisica moderna.

Ma insomma, direte voi, ma questo è il lavoro fatto apposta per i giovani, e direste bene, anzi il mio amico (e collega) Alfredo Colosimo sostiene a ragione che questo è un mestiere per ‘animali neotenici’ che cioè non maturano mai completamente (..il è anche alla base di molti difetti della categoria come la sfrenata superbia, l’egocentrismo, la vanità…).

Ora il punto è, ma i giovani lo sanno che se riescono ad entrare nel gioco della scienza gli si prospetta questo panorama ? Assolutamente no, anzi, l’idea bacchettona che i potenti di tutte le risme (professori, politici, organismi internazionali) propinano del mestiere scientifico è proprio l’opposto. Diventare scienziati per questi signori significa arruolarsi in un’ impresa in cui gli sviluppi sono assolutamente predefiniti, si obbedisce e si tira avanti la carretta iperspecializzandosi in un noiosissimo dettaglio di un quadro talmente complesso da essere folle e presuntuoso pretendere di comprenderne le linee generali. Questa scelta, a fronte di stipendi ridicoli (il che è anche vero, ma insomma se ti piace giocare ai soldi rinunci con gioia), di una lunga gavetta di precariato, finisce nell’esecuzione ripetitiva di una professione difficile (almeno fosse facile ci si potrebbe distrarre pensando ai casi nostri) e nel mettere la nostra ‘oscura pietruzza’ in un disegno complessivo e totalizzante che ci trascende.

Ora tutto questo andrebbe benissimo se uno avesse una vocazione religiosa, in quanto la dedizione totale a Dio di un monaco o di una suora è talmente appagante di per sé da desiderare l’annullamento del sé, ma la scienza non è una religione, solo che…..solo che nella società odierna c’ è la tendenza a considerarla come tale, ed allora tutto si spiega…anche la disaffezione dei giovani. Insomma, molto giustamente a mio parere, i giovani non trovano alcuna attrazione ad arruolarsi anima e corpo in una religione arida e senza amore quale la scienza viene presentata dai media.

rnMa questo sottrae forze ed energie a quel gioco bellissimo che è la scienza (e che diventerà sempre più bello man mano che le barriere disciplinari si sciolgono come neve al sole)..bè vi ho rivelato un piccolo ed importante segreto sulle soddisfazioni che un giovane potrebbe incontrare nel campo della scienza se ha un po’ di fegato e libertà di giudizio…che aspettate ?

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