La gran parte dell’analisi economica ha come riferimento di base l’individuo, salvo ammettere la possibilità di una interdipendenza, ad esempio fra genitori e figli. In realtà è altrettanto plausibile considerare la famiglia, e il suo reddito, come unità elementare di decisione, poiché tutti viviamo in una famiglia nel cui ambito vengono condivise tempo e risorse. E’ la famiglia, come società naturale, che decide sulle questioni economiche centrali, come l’acquisto di una casa o la ricerca di un posto di lavoro. In realtà quando si considerino i crescenti problemi di assistenza a genitori molto anziani, ci si rende conto che l’unità decisionale diventa la catena generazionale di nipoti, genitori e nonni. Una conseguenza centrale è che una moderna politica dei redditi deve camminare su due gambe: quella dei salari, da legare alla produttività, e quella della famiglia, da legare all’equità generazionale e alla crescita potenziale dell’economia.
La seconda domanda è quale sia l’urgenza di una politica per la famiglia. Consideriamo un problema molto discusso, e cioè l’efficacia delle politiche sociali. La riduzione della percentuale di popolazione a rischio di povertà prima e dopo i trasferimenti pubblici è di 4 punti in Italia, 12 punti in Francia, 13 punti in Germania e 10 punti nella media dell’Unione Europea. Da una nostra analisi emerge con chiarezza come l’efficacia dei trasferimenti sociali sia positivamente correlata con l’incidenza sul Pil della spesa sociale per famiglia, bambini e disabili: l’incidenza sul Pil della spesa per famiglia e figli è in Italia dell’1,1 percento, in Francia del 2,5 e in Germania del 3,2. A ciò si aggiunga che il 24 percento dei bambini italiani è a rischio di povertà: una situazione fra le peggiori nell’Unione Europea. Le risorse necessarie per allinearsi ai principali paesi europei è di 20-30 miliardi di euro, una cifra rilevante che induce i politici italiani ad accantonare la questione, anziché porla come priorità di un programma pluriennale. Le conseguenze economiche e sociale di questa miopia sono dirompenti: l’urgenza è massima.
La terza domanda è cosa fare: la quantità di risorse non può essere disgiunta dalla qualità, e una politica per la famiglia non può essere fondata su una singola misura fiscale. Un ottimo esempio di riferimento è la Francia: il fatto che le famiglie con 3 o più figli siano considerate normali in Francia e un’anomalia in Italia, spiega il nostro drammatico declino di natalità. La questione centrale è che una politica per la famiglia richiede di individuare, in modo preciso, una molteplicità di obiettivi, individuando un numero altrettanto adeguato di strumenti. Equità orizzontale, povertà, famiglia e figli rappresentano obiettivi distinti che richiedono altrettanti strumenti. Le politiche devono essere semplici, comprensibili e per quanto possibile universali. Un parte rilevante delle politiche deve riguardare i bambini e l’urgente necessità di garantire una effettiva uguaglianza di opportunità dal momento della nascita: è quanto riconosce l’OECD con il programma “Early Childhood Education and Care”.
La quarta questione è come convincere il mondo politico a fare qualcosa. Il governo austriaco ha ridotto l’età del voto a 16 anni, con la motivazione che questo è “un modo per reagire all’invecchiamento della popolazione e occuparsi dei giovani”. In febbraio il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza una risoluzione nella quale si afferma che “il problema centrale, in una società sempre più anziana, sia la questione della rappresentanza politica dei minori, che rappresentano il futuro comune, e quindi politico, della comunità, ma che attualmente non hanno alcuna voce e peso sul piano delle decisioni”. Come convincere la politica a guardare il futuro ?