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La Commissione Giustizia del Senato ha approvato il testo sui Cus, proposto dal suo presidente, sen. Cesare Salvi, quale base per la discussione. Anche noi di benecomune.net diamo, dunque, avvio a tale discussione.

Tale proposta, a differenza dei Dico che partivano da una situazione di fatto (la convivenza tra soggetti anche dello stesso sesso) per poi darne rilevanza giuridica, adotta lo strumento del contratto.
Con il Cus, le parti, anche dello stesso sesso, assumono negozialmente l’obbligo di aiuto e contribuzione reciproci e sono responsabili in solido verso i terzi (art. 455 septies). Inoltre dalla stipulazione di tale contratto la legge fa discendere diritti in materia di assistenza e decisioni sanitarie, agevolazioni e tutele in materia di lavoro, diritti successori. Mi pare, che nella sostanza, si tratta esattamente di ciò che accade con il matrimonio, con la differenza rilevantissima che il Cus si scioglie unilateralmente con una semplice dichiarazione scritta (art. 455 terdecies). Con la conseguenza che gli effetti giuridici che nascono dal Contratto di unione solidale sono precari e liberamente disponibili dalle parti, essendo collegati esclusivamente alla libera e, dunque, anche arbitraria volontà di ciascuno dei contraenti, rimanendo del tutto irrilevante la condizione in cui versa la parte debole.
Da un punto di vista giuridico, non si tratta, perciò, di un mero contratto di diritto privato, che è sempre a contenuto patrimoniale, ma, esattamente come il matrimonio, di un istituto con contenuti e obblighi personali, disciplinato dal codice civile e a rilevanza pubblicistica. Infatti, sul piano formale, le dichiarazioni dei due contraenti sono rese congiuntamente davanti ad un pubblico ufficiale (nel caso notaio o giudice di pace) e sono iscritte in un apposito registro presso l’ufficio del giudice di pace (art. 455 quater). La situazione è analoga a ciò che accade per la trascrizione dell’atto matrimoniale.
Dunque soltanto all’apparenza si tratta di una modifica di diritto privato con un intervento sul Codice civile. Del resto, anche la disciplina del matrimonio si trova nel Codice civile. Ora con il disegno di legge sul Contratto di unione solidale si introduce nel nostro ordinamento una nuova forma di accordo di natura sostanzialmente para-matrimoniale. Si finisce così per scardinare il sistema codicistico italiano, che ha sempre tenuto distinte le figure del contratto, istituto giuridico di contenuto esclusivamente patrimoniale, e il matrimonio, istituto giuridico che comprende obblighi reciproci di carattere non patrimoniale. Il Cus è in definitiva un vero e proprio matrimonio minore che entra decisamente in competizione al matrimonio previsto dal nostro codice civile e richiamato dalla Carta costituzionale a fondamento della famiglia.
Ci sono, inoltre, evidenti ripercussioni anche sul piano sociale. Il Cus è, infatti, un format che le parti possono modellare come meglio credono e che non tutela in alcun modo la parte più debole, potendosi sciogliere con una dichiarazione unilaterale. Si finisce per privatizzare il tipico rapporto matrimoniale, svilendo l’istituto del matrimonio civile da sempre centrale in ogni organizzazione sociale e politica.
Un cenno, infine, ad una valutazione di confronto con il testo governativo sui Dico. Ritengo che il disegno di legge sui Cus sia peggiorativo, rappresentando addirittura un passo indietro. Con i Dico, attraverso il meccanismo dell’iscrizione anagrafica si registrano convivenze anche tra persone dello stesso sesso e la legge attribuisce loro nuovi diritti e doveri, relegando marginalmente la volontà delle parti. Certamente è un modello molto problematico sul piano sociale. Ma con il Cus si introduce un istituto tutto incentrato sulla libera volontà di ciascuna delle parti che va addirittura oltre l’intenzione di regolare le convivenze dello stesso sesso, essendo attrattivo anche per le coppie eterosessuali. Con questa una nuova forma matrimoniale “fai da te”, è probabile infatti che anche molte giovani coppie eterosessuali finiscano per preferirlo al più impegnativo matrimonio. Con buona pace del senso di responsabilità che dovrebbe accompagnare chi decide di mettere su famiglia e che la legge riconosce a fondamento dell’atto giuridico più importante della propria vita.

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