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La Redazione
rnPer gli studiosi di politica estera, l’accesso ai documenti riservati è un passaggio fondamentale. Quando si leggono i commenti dei grandi ambasciatori del passato – si pensi ad esempio a quelli di Pietro Quaroni da Parigi nel dopoguerra – si possono ricostruire i grandi dibattiti che hanno caratterizzato le scelte di politica estera di un paese. Wikileaks ha fornito tale indispensabile accesso a tutti ma – a quanto si è letto sin’ora – di grandi dibattiti e grandi segreti per ora neppure l’ombra.

Posto che la maggior parte dei documenti sono ancora inaccessibili – anche grazie alla censura dei vari paesi sui server Wikileaks – i “segreti” finora rivelati sono per gli addetti ai lavori solo acqua riscaldata. Allora perché tutta quest’attenzione e accanimento dei governi mondiali contro Wikileaks, con misure che contraddicono uno dei principi fondamentali della democrazia, la libertà di informazione?

Il commento più divertente a Wikileaks lo ha fatto Thomas Friedman sul NY Times, argomentando che se i leaks riguardassero i messaggi cinesi in partenza da Washington, si avrebbe un quadro impietoso della politica domestica ed estera statunitense. In realtà, un quadro impietoso Wikileaks lo mostra davvero, e non solo degli USA.

Cosa sono dunque i principali findings che si possono derivare da Wikileaks?

Primo: il re è nudo. Al di là della mediocrità intellettuale dei messaggi pubblicati, emerge con chiarezza che per gli americani con il termine “diplomazia” non si intende l’arte di promuovere gli interessi del proprio paese all’estero, bensì la propensione a cercare di influenzare le scelte di politica domestica dei paesi terzi. L’arte della moral suasion è del resto un’arte in cui gli americani sono leader. Sarà interessante vedere nei prossimi giorni se troveremo la prova provata delle pressioni americane sulla politica domestica italiana: dalla fine del I governo Prodi per la mancata disponibilità delle basi aeree per il Kosovo, alle pressioni affinché il parlamento non ratificasse il Trattato di Maastricht, fino alle pressioni per la nomina del nuovo ambasciatore italiano negli USA nel 2009, tanto per citare tre casi tra i tanti degli ultimi 20 anni.

Secondo: short term diplomacy. Si ritiene normalmente che la diplomazia americana tenda a ragionare sul lungo periodo e che disponga di una capacità di analisi sui trend futuri superiore a quella degli altri paesi. È questo un mito che viene sfatato dai leaks. Basta leggere i cables degli anni ’70 da Teheran per rendersene conto. Non solo non sono stati capaci di prevedere quello che stava arrivando, bensì ricordano chiaramente che per la politica estera americana non vi sono alleati veramente stabili, ma solo una lista di buoni e cattivi modificabili secondo le necessità e le visioni del momento. In altre parole, i leaks mostrano con chiarezza la propensione americana a reinventare la storia a seconda della visione e della politica del momento. La diplomazia americana opera sì sulla base di un concetto di lungo periodo – la supremazia morale e materiale degli USA nel mondo – principio base anche dell’attuale Presidente Barack Obama, come già analizzato da Benecomune.net. Tuttavia, in virtù di tale principio, addomestica la propria interpretazione del presente e del passato, termine con cui si intendono gli ultimi 5-10 anni, mentre il resto è storia e non vale la pena di studiarla. Proprio questa incapacità di studiare la storia, di apprenderne le lezioni e di interpretare la politica estera e domestica degli altri stati in tale luce, appare come una delle maggiori lacune americane, e Wikileaks lo mostra con chiarezza. Storicamente parlando, si confrontino ad esempio le modalità di entrata delle truppe americane a Parigi nella II Guerra Mondiale e quelle di entrata a Bagdad nel dopo Saddam. Per restare ai leaks, la relazione dell’Italia con la Russia viene ad esempio banalizzata dall’allora Ambasciatore Ronald Spogli (gennaio 2009) al rapporto personale tra Putin e Berlusconi e all’influenza di ENI. Sebbene tale rapporto indubbiamente esista, l’attuale politica estera con la Russia è la diretta emanazione della politica estera del precedente governo (di centro sinistra), a sua volta continuazione della politica estera italiana della I Repubblica, in cui l’europeismo e l’atlantismo dovevano essere necessariamente controbilanciati con forti rapporti con l’URSS. E a sua volta, si tratta di rapporti privilegiati tra i due paesi che durano da secoli: i russi hanno una profonda ammirazione per l’arte e la cultura italiana, basta andare a Pietroburgo per averne una prova. Quanto a ENI, è indubbiamente un attore importante ma è non corrispondente a realtà che vi sia un’assoluta dipendenza italiana dal gas russo – quella tedesca è ad esempio assai più marcata – grazie al fatto che l’Italia si approvvigiona anche dall’altra parte del Mediterraneo ed è un fatto, come sostenuto dall’Italia e riportato (negativamente) nei messaggi USA, che la variabile di rischio è piuttosto l’Ucraina, attraverso cui i gasdotti passano. E tuttavia, il supposto vassallaggio italiano nei confronti della Russia è un chiodo fisso della politica estera USA degli ultimi anni.

Terzo: vassalli, valvassini e valvassori: nei paesi alleati, Wikileaks mette a nudo un’allarmante propensione al vassallaggio rispetto agli americani. Che si tratti del Governatore della Banca Nazionale inglese Mervyn King, che da una parte consigliava i conservatori e dall’altra li denigrava con gli interlocutori americani o dei membri della PDL che dispensano illazioni sul proprio Presidente del Consiglio – tanto per citare due casi di messaggi già pubblicati – essere “interpellati” dagli americani appare essere percepito dagli interlocutori come un titolo di merito che deve essere ripagato sparlando degli altri. E del resto, le reazioni dai toni a tratti violenti e al limite della correttezza democratica di questi giorni, con le chiusure dei siti wikileaks, offrono ancora una volta, e dal vivo, uno spettacolo impietoso di vassallaggio dei governi occidentali rispetto a quello americano.

Quarto, e non necessariamente ultimo in ordine di importanza: la mediocrità della politica estera è specchio e risultante della politica domestica. Wikileaks mostra che i grandi dibattiti di politica estera non ci sono più, resta solo una mediocrità allarmante sia negli USA che in Europa. I diplomatici americani non pensano e non propongono più analisi indipendenti, si limitano a registrare l’ovvio e a rispondere acriticamente agli input, spesso anche dubbi, del Dipartimento di Stato: si pensi ad esempio alle richieste di Hillary Clinton di raccogliere dati personali, DNA e iride (!) di diplomatici e politici stranieri.
Per quanto riguarda l’Italia, lo spettacolo è tuttavia ancora più impietoso. Se si confronta la narrativa autocelebrativa della diplomazia italiana – fedelmente riportata da dei media generalmente poco interessati alla politica estera – con i resoconti di Wiki, si vede un paese che da una parte si percepisce come grande potenza, dall’altra neanche viene considerato alla stregua di una media potenza, per usare le parole di Carlo Santoro. I rapporti dalla Rappresentanza USA presso la UE parlano costantemente dei tre grandi (Francia, Germania e Regno Unito), in alcuni casi riportando che i tre grandi più l’Italia sostengono determinate posizioni. I Quaroni, fatte rarissime e sempre più isolate eccezioni, ormai non esistono più. Le feluche italiane narrano di grande apprezzamento e stima nei confronti del paese e dello stesso Presidente del Consiglio da parte degli interlocutori, specie americani, stima e apprezzamento che sono tuttavia lungi dal risultare dai messaggi pubblicati da Wikileaks. Così come i colleghi americani, i diplomatici italiani non appaiono in grado di cogliere i trend futuri, piuttosto la tattica è quella di negare ciò che non appare conforme alla politica estera italiana, alla visione di se stessi e del proprio ruolo nel mondo. Con la prossima presidenza francese del G8-G20 è ad esempio verosimile che l’Italia sarà relegata in un angolino – un trattamento che per altro appare all’orizzonte anche in altri fori internazionali, quali le Nazioni Unite. Si tratta di una tendenza che la Farnesina ha negato – non ultimo perché il G20 è piuttosto materia delle Finanze che del MAE – e non anticipato e contrastato con strategie sufficientemente nette e innovative quando deteneva la leadership del G8. Come per i politici italiani, per la maggior parte degli ambasciatori quello che importa è l’apparenza, non la sostanza – un atteggiamento che può essere sintetizzato come “ANSA ergo sum”: uno dei contractors principali dell’ANSA è la Farnesina, cosicché quando dalle sedi estere chiamano, i giornalisti fedelmente riportano quello che gli viene propinato, senza particolari slanci di spirito critico.

La politica estera italiana così come esce da Wikileaks è dunque lo specchio fedele di una politica domestica ormai arrivata al capolinea e totalmente incapace di capire che il paese è al collasso. Purtroppo, la strategia dello struzzo – ovvero pretendere di non vedere – non serve a nulla se non ad aggravare la situazione. Sciaguratamente, non si tratta qui di un problema di destra o sinistra. Si tratta di un piuttosto di problema endemico del sistema paese, cui francamente non si vede soluzione.

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