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La legge finanziaria per il 2008 ha previsto/imposto un livello massimo alle retribuzioni dei manager pubblici pari a 548 mila Euro. Livello “non male” per la massima parte degli Italiani, che tuttavia è molto più basso delle remunerazioni dei manager di molte imprese private

Le due principali argomentazioni che si sono confrontate su queste misure, possono essere riassunte nei seguenti termini:
a)      a favore del vincolo: per evitare “eccessi di clientelismo”, per dare il buon esempio di contenimento della spesa, occorre partire dall’alto e quindi non è accettabile riconoscere retribuzioni elevate a molti manager che non sono stati capaci di recuperare significativi livelli di efficienza e di risanare importanti settori di servizi pubblici;
b)      contraria alla misura: con questo vincolo non si riuscirà mai ad attrarre in posizioni di alta responsabilità del settore pubblico i manager migliori.
 
A mio parere la prima argomentazione è influenzata da ideologia politica e di una certa dose di populismo, mentre la seconda è a sua volta condizionata da una certa dose di “ideologia economicistica” secondo cui la qualità delle persone (dei manager) sarebbe direttamente correlabile alla loro retribuzione.
Non è il caso di soffermarsi su queste due motivazioni che considero segno/espressione di una cultura ancora presente ma che è fortemente radicata nel passato.
Ritengo invece più importante prendere questa occasione per ritornare a riflettere sulle basi del comportamento umano. Sicuramente negli ultimi decenni esso è sempre più fortemente condizionato dalla dimensione economica ma anche le teorie più recenti ricordano che le persone decidono e sono guidate anche da altri valori. Scienziati, docenti delle scuole di vario ordine e grado (compresa l’Università), artisti, sacerdoti e migliaia di persone che hanno rinunciato a retribuzioni ben più alte per svariati motivi fanno sperare che si possano trovare manager validi e motivati anche per 548 mila Euro.
Secondo: se da un lato sarebbe segno di un “moralismo ipocrita” scandalizzarsi per le retribuzioni milionarie di grandi manager, sportivi di successo, artisti, modelle, ecc. non credo si possa accettare come un dato il fatto che il valore delle persone è misurato dal tipo di retribuzione o di ricchezza economica che ognuna è in grado di accumulare. E’ un tipo di filosofia, antropologia, cultura che, personalmente, considero inaccettabile e, oltretutto, antistorica e non corrispondente al reale. Conosco decine di persone che hanno conoscenze, competenze e qualità di gran lunga superiore a molti multimilionari del jet set ma che hanno fatto altre scelte di vita.
Semmai considero un errore, peraltro di dubbia efficacia, affrontare il problema sul piano legislativo e con lo strumento del divieto, del vincolo. Non funziona e non può funzionare. Sono decine i modi in cui tale vincolo potrà essere “aggirato”, alcuni dei quali costituiranno un rimedio peggiore del male perché non saranno trasparenti.
Un problema sociale e di cultura va affrontato sul piano sociale e culturale. Occorre insistere, insistere e ancora insistere, specie con i giovani, ma non solo con loro, su principi quali:

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  • essere manager pubblici non è meno dignitoso di essere manager privati;
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  • anche se il contesto della politica e dell’amministrazione pubblica sembra essere arrivato ad un livello così basso da considerarlo irrecuperabile sul piano della funzionalità, ciò non è vero, specie se vi saranno persone che considereranno come propria missione quella di migliorare i servizi “per la comunità”;
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  • il valore delle persone non si misura in migliaia o in milioni di Euro ma in migliaia e in milioni di relazioni che esse contribuiscono a migliorare e in migliaia e in milioni di persone che ricevono buoni servizi e rispetto non perché possono pagare ma perché sono cittadini di un Paese civile.
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