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In questi giorni di altalene, mancati rimbalzi, crisi di liquidità e crolli più o meno annunciati, non di rado è stato evocato lo spettro del grande crollo del 1929. Ma ad un’analisi attenta, in realtà, le circostanze relative alle due crisi, l’attuale e quella del ’29 appunto, appaiono molto differenti.

La disoccupazione, passata negli Stati Uniti, dal 4% al 27% in poco più di due anni, caratterizzava in maniera preminente la grande crisi; imprevisti cambiamenti nelle dinamiche dei mercati immobiliari e un ruolo centralissimo delle banche di investimento, caratterizzano, invece, il momento attuale attuale.
 
Una delle conseguenze, ma forse a ben vedere anche una delle possibili cause della situazione di crisi che stanno attraversando in queste settimane i mercati, è la modificazione cui abbiamo assistito negli ultimi anni, del rapporto tra istituzioni bancarie e clienti. Su questo punto vorremmo svolgere alcune considerazioni.
 
I comportamenti fortemente speculativi e altamente rischiosi posti in essere dalle grandi banche d’affari in tutto il mondo, e gli effetti indiretti che questi hanno prodotto sulle banche commerciali, quelle che gestiscono i nostri risparmi, hanno contribuito in modo rilevante ad incrinare il rapporto di fiducia tra banca e cliente. Inuna sola settimana la percentuale di italiani che si fidano della loro banca è passata dal 69% al 37% (dati ISPO).
 
Scommesse legate a enormi profitti potenziali, unitamente ad una teoria imperfetta e oscura ai più, ma capace di suscitare un senso di totale controllo, hanno prodotto gli esiti cui oggi assistiamo. Prevederlo era
difficile, ma non impossibile. Ora però sembra troppo tardi; ricostruire da zero il vincolo fiduciario necessario al funzionamento efficiente dei mercati non sarà un processo rapido, né indolore.
 
Ciò che è mutato è il contesto nel quale collochiamo le interazioni con le banche e che ci aiuta ad interpretate la realtà finanziaria. Le banche non vengono, in altre parole, più percepite come partners d’affari, in grado di incorporare nei loro interessi i nostri interessi, ma come avversari da cui difendersi e di cui, nonostante tutto, non si può fare a meno. La sfiducia che si è generata distrugge un patrimonio culturale collettivo trasformando i partner di un tempo in estranei con i quali si è costretti a interagire pur senza conoscerne i veri moventi. Questa sfiducia origina un’esternalità negativa, un costo che ricade sull’intera società.
 
Le scienze cognitive e l’economia comportamentale possono aiutarci a comprendere meglio ciò che si è verificato e le sue conseguenze sugli animal spirits degli investitori e dei risparmiatori.
 
In un recente studio sviluppato dal Max Planck Institute for Human Development di Berlino e’ stato attentamente esaminato il percorso decisionale che i risparmiatori “comuni” seguono nella scelta dei loro investimenti finanziari. Sono state analizzate le dinamiche attraverso le quali i soggetti comprendono, si rappresentano ed elaborano le informazioni finanziarie relative ai loro investimenti, e le strategie che i soggetti stessi mettono in campo per gestire i propri risparmi.
 
La ricerca evidenzia in particolare un aspetto strettamente connesso alle recenti vicende. Emerge, infatti, con chiarezza il ruolo che la fiducia gioca nell’orientare le decisioni finanziarie dei soggetti investitori. In particolare, la fiducia sembra influire in profondità sull’elaborazione delle informazioni da parte degli investitori meno esperti nella scelta degli investimenti che ritengono più adatti alle loro necessità. Questa strategia, chiamata anche “Euristica del Riconoscimento”, si fonda sul fatto che i soggetti umani sembrano preferire nelle loro scelte oggetti già noti in precedenza rispetto ad altri nuovi. In altri termini un investitore poco esperto tende a mostrare maggiore interesse per un investimento o uno strumento finanziario che gli è noto almeno di nome, rispetto a uno mai sentito in precedenza su cui però possiede tutte le informazioni rilevanti.
Per capire come, è necessario chiedersi quali sono gli elementi su cui un investitore inesperto fonda principalmente la sua scelta? I dati raccolti dai ricercatori guidati dal Professor Gigerenzer del Max Planck Institute indicano in modo chiaro che un investitore poco esperto sceglierà di allocare il proprio denaro focalizzando la propria attenzione principalmente sul nome dell’investimento, o più precisamente sull’asset class. La fiducia che i potenziali investitori hanno nei confronti di una classificazione onesta e corretta degli investimenti loro proposti rappresenta quindi la vera stella polare che li guida, molto più di ogni altra considerazione tecnica, livello di rischio, remunerazione attesa, o costi connessi alla composizione del loro portafoglio. Quando la stella polare viene a mancare, gli investitori tendono, loro malgrado, verso combinazioni d’investimenti molto più rischiose di quelle che avevano scelto in precedenza, ovvero quando disponevano non solo delle caratteristiche degli investimenti stessi, ma anche dei loro nomi.
 
Una prima interpretazione suggerisce dunque che gli investitori meno esperti, basandosi unicamente sulle reali caratteristiche dei prodotti finanziari, non siano in grado di riconoscere quelli da loro precedentemente
preferiti, ma sembrano fare molto più affidamento su una più facile dimensione decisionale, il nome dell’investimento stesso per l’appunto. Così facendo, tuttavia, si espongono inconsapevolmente a un elevato rischio.
 
L’ambiente finanziario ha mostrato, in questi ultimi anni una forte accelerazione nella tendenza alla mutazione di nomi, gestori, etichette. Questo ha contribuito a creare un senso di spiazzamento e disorientamento nell’investitore medio, a tal punto da renderne più rischiose le strategie
decisionali.
 
Un altro studio condotto da ricercatori dell’Università di Cagliari ha evidenziato risultati per molti versi, simili. Al centro di questo studio è stato posto il processo attraverso cui si sviluppa e si consolida la
reputazione nell’ambito di relazioni fiduciarie. Si tende a fidarsi maggiormente di soggetti di cui è nota la reputazione di affidabilità. Questa reputazione si sviluppa nell’ambito di relazioni di lunga durata, nelle quali, col passare del tempo, si impara a riconoscere nel partner un soggetto affidabile. Ma allora, si sono chiesti i ricercatori cagliaritani, è sufficiente rendere note le informazioni circa il comportamento passato dei soggetti affinché la fiducia si possa sviluppare anche tra estranei. La teoria economica da una risposta affermativa a tale domanda. Ma i dati sperimentali offrono risposte differenti. Anche in presenza di informazione completa sul comportamento dei miei partner estranei, il livello di fiducia e di affidabilità che si instaura tra partner di lunga data, sarà sempre e comunque superiore. Anche per questa ragione, dunque, ricostruire la fiducia
tradita dalle banche sarà estremamente complesso e faticoso.
 
Nella sua celebre sentenza sul caso “Meinhard vs. Salmon” del 1928 − la data è emblematica −, il Giudice Benjamin Cardozo, scrive: “Molte forme di condotta che sono comunemente ammissibili e permissibili tra coloro che lavorano a stretto contatto, sono, invece, vietate tra coloro che sono uniti da un legame fiduciario. Un fiduciario è tenuto a qualcosa di più esigente della morale del mercato. Non solo l’onestà, ma il puntiglio dell’onore deve essere lo standard di condotta (…) Solo in questo modo possiamo tenere il livello di condotta tra gli individui ad un livello più alto rispetto al mero seguire la corrente della folla”.
 
Le ricerche condotte al Max Planck Institute di Berlino mostrano i rischi connessi ad un eccesso di complessità e di ambiguità delle informazioni finanziarie; quelle condotte a Cagliari invece, evidenziano la necessità di costruire relazioni stabili nel tempo. Entrambe, ci dicono quanto i mercati finanziari si fondino sulla fiducia, non solo su regole e sanzioni. Fiducia e trasparenza dovranno essere quindi gli elementi cardine sui cui costruire una nuova governance degli affari e un sistema finanziario coerente e funzionale ad uno sviluppo equilibrato.

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Marco Monti (Max Plank Institute for Human Development, Berlino)
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Laura Martignon (Institute of Mathematics, University of Education, Ludwigsburg)

 
Riferimenti Bibliografici:
 
Pelligra, Isoni, & Sitzia, (2008). “I Trust You, Not What They Say About You. An Experimental Investigation of the Effect of Direct and Indirect Reputation”. Working Paper, Università di Cagliari.
 
Monti, Gigerenzer, Martignon, Berg, (2008) Investment Decisions: from Homo Oeconomicus to Homo Heuristicus, Technical Report, Max Planck Institute of Human Development, Berlin
 
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