Dobbiamo puntare su una maggiore qualità che compensi i differenziali di costo del lavoro a noi sfavorevoli, ma non sempre basta. Dobbiamo riuscire ad essere più presenti sui grandi mercati emergenti intercettando parte della domanda locale delle nuove classi medie, ma non sempre siamo in grado di farlo. Dobbiamo puntare su fattori competitivi che non possono essere delocalizzati perché legati inestricabilmente al nostro territorio come il patrimonio naturale, artistico, culturale, religioso oltre che i prodotti agroalimentari di origine controllata.
Partecipiamo a questa corsa con un macigno che ci frena inesorabilmente. Un debito pubblico enorme che ci costringe a spendere ogni anno 75 miliardi della ricchezza creata e raccolta con le tasse per pagare gli interessi sui titoli pubblici. Il macigno non è la spesa pubblica ma il debito. Quello che abbiamo fatto sinora non basta a risolvere il problema alla radice. Possiamo fare molte piccole cose e due molto grosse per affrontare il problema. Tra le piccole si può risparmiare sulle provincie, sui costi della politica, usando software libero per la pubblica amministrazione, tassando la CO2. Le due questioni “grosse” cui dobbiamo guardare senza tabù sono la tassa sulle transazioni finanziarie e l’imposta patrimoniale. Nel primo caso le forze a favore per un’applicazione all’eurozona sono ormai in maggioranza (Francia, Germania, parlamento europeo), la tassa fa parte del programma di molti partiti. E’ una questione di giustizia se guardiamo alla dinamica della crisi. La sua sostenibilità economica ed amministrativa è stata dimostrata ampiamente e più di mille economisti nel mondo hanno fatto un appello per la sua approvazione. Credo sia ormai questione di tempo perché è troppo importante per gli stati avere a disposizione più risorse. La questione sarà la disputa sull’utilizzo dei proventi da essa derivati. Sull’imposta patrimoniale vivendo in un paese ad elevata ricchezza finanziaria, ingessato dal debito e dalle tasse nella produzione di reddito non dobbiamo mettere la testa dentro la sabbia. Ovvero non porre il problema esplicitamente e tollerare che essa sia applicata in modo incontrollato e strisciante attraverso tasse locali sugli immobili per ovviare all’abolizione dell’ICI. E’ il momento di una coraggiosa iniziativa bipartisan che leghi un’imposta patrimoniale una tantum ad una legge costituzionale di pareggio del bilancio e ad un programma di riduzione della fiscalità sul lavoro nelle imprese. Meno debito e meno tasse per liberare le forze produttive del paese.
Molte ancora le idee per stimolare la creazione di valore economico nel nostro paese e risolvere i problemi di bilancio. Un contrasto più efficace all’evasione fiscale, i cui proventi vadano ancora una volta a ridurre il peso di chi le tasse le paga (pagare meno pagare tutti), la semplificazione burocratica e riduzione della durata delle cause civili per ridurre i costi invisibili delle imprese sono alcune delle direzioni su cui lavorare.
Infine c’è un problema di fondo che influenza tutti gli altri: è possibile dare una risposta di sintesi alla domanda sul perché l’Italia non è la Germania? A mio avviso sì. La differenza è che in Germania il rispetto delle regole che garantisce il corretto e più spedito funzionamento della vita economica e delle istituzioni non dipende solo dalla paura di una sanzione ma dall’adesione a norme morali e sociali. Alla presunta furbizia di cercare un proprio vantaggio a scapito degli altri si contrappone la lungimiranza di capire che la crescita della società nel suo insieme, anche attraverso sacrifici di breve priodo, crea benefici per tutti. In Italia questo vale molto meno purtroppo. Molte forze politiche ed intellettuali hanno capito che il capitale sociale e morale di un paese non è dato in quantità fissa ma varia nel tempo e da noi per motivi che ben conosciamo si è fortemente depauperato. Da questo punto di vista bisogna riconoscere che esistono forze sane nel paese che attraverso il loro lavoro costruiscono capitale sociale e morale. Queste forze vanno valorizzate e sostenute. E le esperienze di partecipazione civica dei cittadini vanno incoraggiate magari creando un servizio civile, se non obbligatorio, fortemente incentivato anche se senza costi per lo stato.
Sono queste le grandi sfide che ci attendono e le cose di cui dobbiamo parlare, confrontandoci senza pregiudizi e cercando di mettere da parte gli interessi particolari per trovare una soluzione condivisa nei prossimi mesi.
Proposte per la nuova stagione: di cosa abbiamo bisogno?
Iniziative importanti sono state adottate a livello europeo per risolvere la crisi greca. Speriamo che sia l’inizio di una corresponsabilità fiscale vera a livello UE che porti un giorno al finanziamento di un programma serio di infrastrutture attraverso l’emissione di eurobonds anche sapendo che i margini non sono enormi neppure a livello di aumento di debito europeo. Eppure se vogliamo risolvere il problema del declino italiano di fronte alla brillantezza delle economie dei paesi emergenti tutto questo non basta. Come può un’impresa italiana competere con le nuove “tigri africane” che si affacciano sulla scena e pagano il lavoro un euro al giorno? O anche con i concorrenti dentro casa dell’Est Europa che possono remunerare operai qualificati 200 euro al mese e hanno alle spalle stati con rapporti debiti/PIL molto inferiori al nostro in grado di garantire condizioni fiscali più favorevoli a imprese che decidono di produrre sul loro territorio?
Economia e Finanza