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Qualunque testa pensante e sensibile, voglio sperare, è in grado di cogliere i costi umani e il passo indietro in materia di diritti che il decreto sicurezza porta con sé. L’obiezione di chi ha approvato questa legge alle “anime belle” però si pone su di un altro piano: il pacchetto è l’unico modo per arginare un problema economico e di criminalità. Voglio spiegare perché non è così e quali sono i paradossi logici della scelta che abbiamo appena fatto.

Cerchiamo innanzitutto di capire il perché il problema della paura dello straniero (alla base dei famosi desideri degli italiani)  è in questo momento più serio in Italia che in altri paesi europei. Se guardiamo allo stock della popolazione immigrata sul totale (5 percento) il dato non sembra giustificare l’allarme che verifichiamo personalmente in tante conversazioni con i nostri connazionali. Secondo gli ultimi dati OCSE del settembre 2008 siamo decisamente sotto la media dei paesi occidentali preceduti da Regno Unito (5,8), Germania (8,2), Austria (9,9), Spagna (10), Svizzera (20) e Lussemburgo (oltre il 40 percento). Se andiamo però a guardare i tassi di variazione, ovvero la crescita della quota di stranieri, ci accorgiamo di essere secondi in Europa avendo visto crescere negli ultimi dieci anni questa percentuale di tre punti contro situazioni quasi stazionarie di molti degli altri paesi citati. Davanti a noi solo la Spagna che segna uno strabiliante aumento di 8 punti percentuali con paure e timori però molto inferiori alle nostre.

Il primato dell’allarme italiano è confermato dai dati di un’indagine del 2007 condotta a livello europeo che sottolinea che da noi la quota di popolazione che chiede leggi più severe verso gli stranieri è più elevata che nei principali paesi europei e, con essa, minore è la capacità di comprendere il funzionamento dei meccanismi economici dell’economia globale (le due cose sono in parte correlate). Il quadro diventa più chiaro se aggiungiamo almeno altri due elementi.

E’ dimostrato scientificamente che durante le crisi economiche le pulsioni xenofobe crescono in maniera significativa perché lo straniero inizia ad essere percepito come minaccia e non come risorsa. Se la torta si riduce, diventiamo meno propensi a dividerla con altri e riteniamo, per razza e per sangue, di avere un primato nei diritti di spartizione.

Il secondo elemento da non trascurare è che in nessuno degli altri paesi considerati i partiti che più fanno leva sulla paura dello straniero e sull’esigenza di sicurezza sono stati al potere nella delicata fase di crescita della popolazione immigrata con tutte le conseguenze che esso comporta. Per fare un esempio, qualche giorno fa Sarkozy ha chiesto ai propri elettori alle elezioni regionali di votare a sinistra pur di votare contro Le Pen. Se chi è al potere non soffia sul fuoco delle paure è più facile favorire il cambiamento culturale necessario per vivere in una società multietnica.

Veniamo ai paradossi economici. Il provvedimento arriva in Italia in un momento di grave crisi economica che per noi è soprattutto crollo dell’export e crisi di competitività delle imprese italiane. L’economia del paese, sia nel settore della manodopera delle imprese che in quello delicato dell’assistenza agli anziani, si regge sulla spina dorsale di circa settecentomila immigrati irregolari che da tempo lavorano nel nostro paese (e lavorando in nero contribuiscono a tenere bassi i costi della manodopera e dei servizi), molti dei quali hanno presentato domanda di regolarizzazione cui non è stata data risposta. Si afferma che gli immigrati competono con i nostri cittadini nei servizi del welfare dimenticando che le risorse per il welfare nascono dalla produzione di reddito, dal pagamento di tasse e dalla trattenuta di contributi sulle buste paga. Poiché il Pil è il prodotto delle persone che lavorano nel nostro paese per le ore lavorate, la strada da scegliere doveva essere proprio quella opposta (regolarizzare gli irregolari e nel caso stabilire successivamente criteri più severi di entrata). Applicando la legge alla lettera dovremmo rimandare a casa queste centinaia di migliaia di lavoratori mettendo in ginocchio il paese, provocando un crollo della produzione e mettendo in ginocchio il sistema di welfare informale che consente ai nostri anziani di usufruire dei servizi di assistenza delle badanti extracomunitarie. La strada opposta, quella della regolarizzazione degli immigrati non regolari già inseriti nel nostro tessuto produttivo, non creerebbe i danni sopra citati, sottrarrebbe potenziale manodopera alla criminalità organizzata ed aumenterebbe significativamente il flusso di tasse e contributi a beneficio del sistema di welfare.  

Il mondo dell’industria sa benissimo tutto questo. Infatti, come in ogni impennata del governo sulla questione degli immigrati, anche questa volta, immediatamente dopo l’approvazione della legge, è apparso sul Sole 24 Ore un editoriale che sottolinea i rischi di un’applicazione alla lettera del provvedimento.

Passiamo ora ad immaginare come il provvedimento verrà adottato in un paese come il nostro in cui la “flessibilità” e la discrezionalità prevale sulla rigida e coerente applicazione delle norme. Il risultato è una pesante situazione di incertezza con il solito desolante panorama di inflessibilità sulla carta che nobilita atti di clemenza del superiore di turno. Anche se la legge non sarà applicata alla lettera (come abbiamo spiegato sopra sarebbe impossibile e drammaticamente autolesionista) la vita dei lavoratori immigrati e non regolarizzati peggiorerà significativamente mettendo in difficoltà tutti coloro che hanno rapporti con essi (dai datori di lavoro a chi concede loro case in affitto). La maggiore debolezza sul piano dei diritti aprirà lo spazio a maggiori forme di sfruttamento perché, con tutta probabilità, le controparti italiane degli immigrati non regolarizzati che decideranno di proseguire il rapporto chiederanno loro di pagare un “premio economico per il rischio che corrono.Infine qualche considerazione sul piano della giustizia. Sono ben noti i problemi di intasamento del nostro sistema giudiziario e di scarsità di risorse umane ed economiche delle nostre forze di polizia. Invece di concentrare gli sforzi nella lotta contro chi effettivamente delinque (italiano o straniero che sia) si crea un nuovo reato che rischia di spingere verso la marginalità e l’illegalità una massa enorme di persone che cercano di vivere una vita onesta. Chi già ha intrapreso la strada della delinquenza invece ha generalmente più risorse e consuetudine a vivere nell’illegalità e a sfuggire a controlli. Regolarizzazione e facilitazione del ricongiungimento familiare, oltre che aumento delle risorse per il contrasto con la criminalità, sono le strade maestre se si vuole aumentare la sicurezza e ridurre la criminalità. Per non parlare delle politiche d’integrazione già adottate con successo da altri paesi europei, un libro aperto che nessuno vuole consultare.

rnUltima contro obiezione. I sostenitori della legge possono sempre rispondere che disposizioni simili sono in vigore in alcuni altri paesi europei. Anche se restiamo contrari in principio dobbiamo riconoscere che questo è vero ma che in questi paesi sono anche in vigore politiche efficaci di regolazione dei flussi con ingressi progressivi e leggi sul diritto d’asilo tuttora inesistenti nel nostro paese. Nessuno sinora è stato così autolesionista da approvare una legge di questo genere prima di regolarizzare centinaia di migliaia di persone che rappresentano l’ossatura del paese.rn

 
Supponete di essere il proprietario di una pizzeria con un valido cuoco non in regola che vi aiuta a ridurre i costi di produzione. Aumenta la criminalità nei dintorni, c’è crisi economica e gli affari vanno sempre meno bene. Risolvereste il vostro problema espellendo il cuoco ?
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