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Partiamo da un indovinello. Può esistere una piccola impresa che impiega più di 20 addetti, ha costi per più di 100.000 euro, non fa una lira di fatturato in beni e servizi venduti e si è sempre autofinanziata non accumulando una lira di debito? In quale contesto e per risolvere quali bisogni questa impresa è nata?

Partiamo da un territorio, la Romania e in particolare il Maramures (parte della bellissima regione della Transilvania), nel quale esiste un grave problema di infanzia abbandonata (bambini di strada o rinchiusi in orfanatrofi “lager”), un’insufficiente dotazione di risorse pubbliche per far fronte a questa emergenza, mancanza di piena occupazione. Una situazione siffatta è tipica di molti paesi in transizione o del sud del mondo. Se non risolto il problema permane e assume dimensioni crescenti nel tempo. I minori abbandonati senza cura hanno maggiore probabilità di devianza e dunque, oltre ad essere dolorosi casi umani, genereranno maggiori costi di risorse pubbliche in vari ambiti (sanità, assistenza sociale, sicurezza).

Contemporaneamente in un’altra parte del mondo, in un tipico paese ricco come il nostro esistono invece altri tipi di bisogni non soddisfatti di natura completamente diversa ma complementare con i primi.

Il tenore di vita elevato è abbinato ad una domanda e una ricerca di senso della vita in larga parte inevasa. La soddisfazione di vita non aumenta con il benessere economico mentre aumentano i problemi di depressione e i disturbi alimentari. Si tratta di una forma di povertà diversa ma altrettanto grave, quella dell’incapacità di trovare una missione che possa dare fondamento, sale e direzione alla propria vita, nello stordimento dell’abbondanza dei beni di consumo e sotto il bombardamento dei mezzi di distrazione di massa. Una parte della popolazione è consapevole di questa mancanza di condivisione e gratuità ed esprime coscientemente una disponibilità a pagare per cause solidali alimentata dal proprio risparmio o dalla ricchezza accumulata. Una quota ulteriore di popolazione è disposta a mettersi in gioco o almeno a sperimentare e fare esperienza ed esprime dunque un’offerta di tempo e una domanda di esperienze solidali.

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L’impresa della cura nasce dalla capacità di combinare tra di loro questi ingredienti, nessuno dei quali scarso, nel contesto socioeconomico attuale.
Il progetto Quadrifoglio in Romania rappresenta un caso esemplare di come queste risorse possano essere combinate per creare una soluzione a somma positiva che migliori il benessere di tutti i partecipanti o di tutti coloro che esprimono un bisogno.

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Il Quadrifoglio ha varato un programma pedagogico che lega l’uscita dalla marginalità dei minori all’inserimento non in orfanatrofi ma in case famiglia con genitori stabili dove poter “recuperare” il deficit affettivo maturato. Le case famiglia sono interamente finanziate da donazioni alimentate dai sostenitori, una parte dei quali sono coloro che, in quattro campi di lavoro all’anno di quindici giorni ciascuno visitano le strutture e si dedicano ad attività sociali sul territorio (corsi di lingua per studenti, animazione nelle realtà più difficili quali i locali orfanatrofi, strutture che ospitano disabili e reparti ospedalieri).

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L’impresa della cura dunque non vende nulla ma produce due tipi di output molto particolari.

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Il primo è il reinserimento dei minori “difficili” nel tessuto sociale attraverso la cura e gli affetti ritrovati. Al momento il progetto Quadrifoglio gestisce tre case famiglia che ospitano circa 30 minori complessivamente. Il secondo output è la produzione di legami e di capitale sociale. I circa duecento partecipanti ai campi (per lo più ma non solo giovani) stabiliscono legami con i bambini delle case famiglia e con la popolazione locale, vivono un’esperienza di gratuità e di condivisione che può aiutarli nella ricerca di senso e nella costruzione di un percorso di vita che contenga gli ingredienti fondamentali della gratuità e della condivisione.

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Il segreto dell’”impresa della cura” è dunque quello di combinare due povertà e renderle feconde attraverso l’incontro.

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Come ogni forma di intrapresa anche il modello dell’impresa di cura ha i suoi punti nevralgici. Fondamentale nell’avviamento il ruolo carismatico dei fondatori (Massimo Nevola e Vitangelo Denora) che, partendo dall’esperienza che li ha messi in moto, quella dell’incontro con i ragazzi di strada, hanno saputo combinare i due bisogni stimolando la disponibilità a partecipare donando denaro e tempo nel paese ricco. Fondamentale il ruolo del coordinamento generale dell’iniziativa che richiede tempo e risorse anche se non eccessive (per nessuno in Italia il progetto in Romania è primo lavoro). Delicato anche il ruolo chiave delle coppie genitoriali che gestiscono la casa famiglia assieme all’equipe di psicologi e pedagogisti. E’ forse questa la risorsa più scarsa di tutto il progetto.

Il meccanismo virtuoso che alimenta e fa crescere l’iniziativa è proprio la combinazione di due attività apparentemente slegate ma in realtà molto complementari: la gestione delle case e l’organizzazione dell’esperienza pedagogica di chi partecipa ai campi sul posto. Le visite sensibilizzano e la sensibilizzazione sviluppa nei partecipanti oltre che una forte fidelizzazione il desiderio di attrarre nuove forze. La forma reticolare di partecipazione assicura stabilità e continuità al progetto. La contribuzione è dispersa e diffusa così che la dipendenza da singoli donatori è bassa. Il potenziale per iniziative di questo genere che si allargano e crescono in reputazione può essere di diversi milioni di euro.

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 Guardiamo al risultato dell’impresa della cura dal punto di vista socioeconomico. Il modello ha dato una piccola ma significativa risposta ai bisogni del paese in transizione (problema abbandono dei minori e occupazionale) e a quelli del paese ricco (domanda di senso, disponibilità a donare tempo e denaro per cause solidali). L’imprenditore inteso in senso lato è colui che verifica l’esistenza di bisogni e la presenza di risorse su un dato territorio ed è in grado di combinare le seconde in maniera originale per risolvere i primi producendo valore economico e sociale. E’ il caso di chi ha fatto nascere quest’impresa della cura.
 
L’ impresa della cura del Quadrifoglio è una piccola realtà ma ha diverse opportunità di crescita.

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La prima, obiettivo dichiarato, è quella di un maggior coinvolgimento della società civile locale. Pur partendo da contesti nei quali il capitale sociale e la diffusione di forme associative è molto scarsa (nei paesi ex comunisti si parte da una scarsa abitudine all’autorganizzazione e da una forte diffidenza verso forme cooperative che erano tutt’altro rispetto alle nostre e rappresentavano la lunga mano dei regimi), uno degli obiettivi più ambiziosi è radicare l’iniziativa sul territorio attraverso il sostegno di una quota crescente di gruppi locali. Un secondo obiettivo è quello del graduale riconoscimento da parte dello stato di una serie di convenzioni in grado di ridurre i costi di gestione delle case. Una terza direzione può essere quella dell’irrobustimento patrimoniale dell’associazione in modo da costruire una dotazione che possa da sé generare attraverso i propri dividendi i fondi necessari al mantenimento dell’opera.

Il paradosso è però che un successo completo sul secondo e il terzo fronte esaurirebbe le energie vitali di sussidiarietà, solidarietà e creazione di legami che rappresentano uno dei risultati sociali più importanti del progetto. La capacità di creazione di capitale sociale del progetto si ridurrebbe di molto.

Il metodo della ricerca socioeconomica ci impone altre due domande di fondo. Era questa l’unica maniera di risolvere i bisogni descritti o esistono forme migliori per realizzare lo stesso obiettivo ?

I contributi su questo punto sono benvenuti. A noi pare evidente di sì dati i limiti strutturali di spesa pubblica di uno stato come quello di questo paese in transizione, il valore aggiunto dei meccanismi di sussidiarietà e di azione dal basso avviati dal progetto e l’impossibilità di iniziative come le case famiglia di auto sostenersi producendo valore economico. Va da sé che nelle direttrici di sviluppo futuro tracciate il maggiore impegno della società civile locale e del governo sono auspicati.

L’”impresa della cura” può diventare un modello nel suo settore e nel suo genere, replicabile in altri contesti e paesi ? Riteniamo di sì condizionatamente alla capacità di risolvere due punti nevralgici: l’avviamento da parte del gruppo fondatore e la selezione e formazione delle coppie genitoriali stabili che sappiano coinvolgersi fino in fondo nell’iniziativa. Da quest’ultimo punto di vista fondamentale e delicato il rapporto tra riconoscimento pecuniario per la loro attività e motivazioni intrinseche con la necessità di pagare buoni salari ma rischi di spiazzamento del primo verso le seconde. Le altre risorse necessarie sono disponibili e abbondanti.

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L’impresa della cura rappresenta un modo intelligente di far incontrare due povertà e due bisogni e appare come una delle tante possibili soluzioni ed applicazioni nel quadro di un’economia civile che valorizza l’interazione tra pubblico e privato sociale producendo non solo servizi alla persona ed occupazione ma anche quei valori immateriali (gratuità, responsabilità, fiducia) fondamentali per il funzionamento di tutto il sistema economico

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