Relativamente al primo, la ricerca ormai consolidata sull’impatto di progetti per la lotta alla marginalità e la promozione dell’inclusione sanciscono il legame inestricabile tra solidarietà, responsabilità e dignità del beneficiario. Per meglio precisare, possiamo grossolanamente distinguere i beneficiari di un’azione di welfare tra coloro potenzialmente in grado di rimettersi sulle proprie gambe (lavoratori licenziati, popolazione povera in età lavorativa, minori, ecc.) e coloro che non hanno questa possibilità (malati terminali, anziani con patologie inabilitanti, ecc.). Poiché la dignità di una persona e la sua piena inclusione nel tessuto sociale dipende dall’essere titolare di diritti ma anche di doveri, ovvero dal “poter dare” e dall’avere un ruolo da svolgere all’interno del contesto in cui vive, elemosine o assistenzialismi non sono la soluzione corretta per il primo tipo di persone.
Coerentemente con questa verità Jean Danielou in un famoso detto affermava paradossalmente “Uno dei modi migliori di amare è aspettare qualcosa da un altro, poiché la carità non consiste solamente nel dare, ma anche nel chiedere, nel mostrare agli altri che possono essere utili”. L’assistenzialismo dunque umilia il ricevente, mantiene distanza sociale tra chi da e chi riceve mentre la cosa migliore che possiamo fare per promuovere le pari opportunità è aiutare chi è nel bisogno a riqualificarsi e a trovare un ruolo attraverso il quale poter essere utile alla società.
La triade solidarietà/responsabilità/dignità è alla radice degli interventi di maggior successo verso gli “ultimi degli ultimi”, ovvero i marginalizzati dei paesi più poveri attraverso le iniziative del microcredito, del commercio equo e solidale, dei “conditional cash transfer programs” o dei programmi “food to school” (ovvero di quei programmi che, rispettivamente, concedono sussidi per ridurre le tasse scolastiche o legano sussidi alimentari alla frequenza scolastica). Le iniziative del nuovo welfare, orientato al workfare, devono seguire gli stessi principi anche se gli interventi sono ovviamente di natura diversa ed adattati al nostro contesto.
Il secondo principio è quello della forza del principio di sussidiarietà e della capacità delle motivazioni intrinseche di essere sostituto della remunerazione monetaria. Si tratta di una legge dell’energia sociale che spiega la proliferazione e la vitalità delle associazioni di terzo settore e di volontariato del nostro paese che offrono una forza formidabile al servizio dei problemi sociali del nostro paese. E’ un fatto che non ci sia confronto tra la qualità della cura di una persona bisognosa prestata da un volontario o un membro di un’associazione con una specifica vocazione in proposito rispetto ad un dipendente pubblico scarsamente motivato. Tutto questo ovviamente in media, escludendo le eccezioni dei singoli e sperando di trovare meccanismi sempre più efficaci per motivare i dipendenti pubblici nello svolgimento della propria professione.
rn
rn
Il libro verde sviluppa in parte questi ragionamenti e nella misura in cui essi saranno concretizzati nelle decisioni di policy faremo dei passi nella direzione giusta.
Da ultimo non possiamo non guardare al problema dei servizi sociali e del welfare in maniera dinamica e non statica. Ovvero non possiamo solo concentrarci sull’assistenza a chi è oggi nel bisogno ma dobbiamo anche intervenire per neutralizzare o ridurre l’impatto di quei fattori che “producono” persone bisognose. Dunque fa parte di una corretta azione di welfare approntare politiche fiscali che riconoscano il ruolo fondamentale della famiglia e che incentivino comportamenti di responsabilità sociale delle imprese, premiando quei pionieri che lavorano più direttamente in questo settore creando valore economico attraverso la creazione di valore sociale.
Può il federalismo fiscale integrarsi in modo coerente in questa prospettiva e diventare un’occasione per promuovere solidarietà e responsabilità ? Tutto dipende da due punti fondamentali. Il primo è il fondo di perequazione con il quale le regioni ricche dovrebbero trasferire risorse alle regioni più povere per garantire la prestazione dei servizi fondamentali. Nel caso peggiore si può arrivare ad una situazione nella quale i trasferimenti sono insufficienti e le differenze di prestazioni si accentuano drammaticamente alimentando il flusso dei “viaggi della speranza” con i quali utenti delle regioni più sfortunate vanno a curarsi presso quelle più all’avanguardia. Nel caso migliore la nascita del fondo di perequazione può essere l’occasione per correggere una distribuzione delle risorse eccessivamente sbilanciata verso le regioni a statuto speciale mettendo in gioco nuove risorse.
Per quanto riguarda il secondo punto, il federalismo fiscale può anche essere un’importante occasione di stimolo alla responsabilità delle amministrazioni locali. La minaccia di bloccare i trasferimenti interregionali nel caso in cui le amministrazioni delle regioni meno fortunate violino parametri di qualità chiaramente verificabili (ad esempio i costi standard delle prestazioni mediche) possono essere incentivi importanti ad un aumento di efficienza nella gestione della pubblica amministrazione che resta uno dei problemi principali delle nostre regioni meno sviluppate.