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Per parlare di quello che chiamiamo economia civile o cooperativa (Borzaga, Bruni, Zamagni) ed economia sociale di mercato (Felice) articoliamo dei concetti e cerchiamo di spiegare in che modo è possibile adattare principi generali alle mutate circostanze di una vita economica che cambia rapidissimamente.
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Questa volta voglio partire dalla direzione opposta raccontando le sfaccettature di un piccolo evento a mio avviso significativo e in grado di sintetizzare molte delle caratteristiche di questo tipo di economia che vorremmo.

Qualche sera fa in un bel negozio del centro di Roma un gruppo comprendente clienti abituali, soci, finanziatori, volontari, esercenti e importatori si è riunito per fare il punto sullo stato dell’arte delle ricerche sull’impatto dei prodotti oggetto di vendita (prodotti equosolidali), promuovendo nel contempo una campagna di capitalizzazione per finanziare nuovi investimenti.

Roba fantascientifica nella logica attuale del funzionamento dell’economia e dei mercati. Abbiamo infatti perso da tempo quel rapporto di cortesia e di cordialità che si instaurava tra acquirenti abituali e esercenti di negozi di quartiere e che andava oltre i pur esistenti e non ignorati interessi contrapposti. Nella logica glaciale di oggi il mercato non è più piazza geograficamente circoscritta ma è soltanto luogo astratto di conflitti tra anonimi portatori di diversi interessi, ognuno dei quali se può, cerca di abusare degli altri. Con i regolatori che devono correre ai ripari sperando di congegnare regole che eliminino abusi altrimenti inevitabili.

E’ evidente che, anche in questo contesto, la buona volontà delle parti in causa può cercare di creare una situazione di non belligeranza e comunque di rispetto delle motivazioni altrui. Anche in questo che sarebbe la migliore delle situazioni ipotizzabili siamo comunque lontani da quello che si è percepito nell’incontro di cui vi parlo. Dove si è appunto resa visibile una sintonia di intenti tra diversi portatori d’interesse che, assieme ai loro obiettivi di ruolo naturalmente contrapposti, hanno un sogno in comune (ed è questo il segreto) condividendo in realtà un progetto comune di creazione di pari opportunità e promozione di sviluppo economico ed umano di “terzi” (i produttori equosolidali).

La piccola realtà economica di cui vi parlò non rappresenta affatto qualcosa di avulso dal sistema economico globale o dall’economia. I temi trattati erano quelli tradizionali della vendita di prodotti, acquisto di quote di capitale, remunerazione sui libretti di risparmio, costi, ecc. L’attenzione, come quella di ogni intrapresa economica, era sul soddisfacimento di obiettivi di produttività, di efficienza, di qualità dei prodotti, nel rispetto dei quali l’organizzazione era cresciuta progressivamente e vantava ormai una storia significativa, e senza dei quali nessuna iniziativa del genere può stare in piedi nella competizione odierna. L’obiettivo comune però dava un tono completamente diverso alla vicenda e consentiva, simultaneamente alle operazioni di consumo e di risparmio effettuate o progettate tra le controparti, di produrre contemporaneamente beni intangibili oggi assai scarsi come un aumento di qualità delle relazioni all’interno del medesimo gruppo e il capitale sociale rappresentato dalla passione per i temi della solidarietà che spingeva i partecipanti a donare tempo (i volontari) o a investire risorse nel progetto.

Potremmo raccontare vicende molto simili parlando delle convention dei soci di Banca Etica, delle casse rurali e crediti cooperativi locali dove gli obiettivi condivisi di mutualità interna e allargata producono le stesse dinamiche.

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Siamo proprio sicuri di dover restare prigionieri del pensiero di coloro che sostengono che l’economia debba essere “scannamento” tra portatori di interessi diversi e che solo attraverso l’enorme dispendio di energie e il “sangue” della guerra di interessi contrapposti ci possa essere progresso e benessere economico (la civiltà Atzeca era convinta che fosse necessario per la propria sopravvivenza realizzare sacrifici umani e propiziare così gli dei la nascita del sole ogni nuovo giorno. Più avanti si è scoperto che quei sacrifici ingenti non erano forse così necessari)? O forse la storia di questi ultimi tempi ci insegna che estremizzare tali conflitti alimenta opportunismi non sempre controllabili e mette in gioco la stessa sopravvivenza del sistema?

Lascio ai lettori la risposta concludendo con una citazione dal Barone Rampante di Calvino che prendo in prestito da un recente lavoro di Stefano Zamagni, a lui il merito di averla individuata.

“Capì questo che le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone e danno la gioia che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone – mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l’altra faccia della gente, quella per cui bisogna tenere sempre la mano”

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