|

In questi giorni, dopo il downgrade di Standard and Poor’s (S&P’s) di nove paesi dell’area Euro, tra cui l’Italia di ben due livelli (notches), infuria il dibattito e la polemica sulle società di rating. Esponenti di rilevo di Banche Centrali, di Governi, della Commissione Europea, nonché articoli di illustri economisti, puntano il dito sull’inefficienza, i conflitti di interesse, il ruolo di queste società. Proprio di oggi sono le notizie che la Guardia di Finanza sta compiendo verifiche nella sede milanese di S&P’s e la magistratura di Trani sta indagando su un’altra importante agenzia di rating quale Moody’s: l’accusa è di aver manipolato il mercato con valutazioni inattendibili sul sistema economico-finanziario e bancario italiano.

Nelle more dell’attesa dei risultati delle indagini della magistratura e della Guardia di Finanza, a nostro avviso, e lo diciamo subito e in maniera chiara, si tratta di polemiche in parte strumentali.
Non perché la gran parte dei problemi sollevati siano infondati, ma perché ci allontanano dalla verità dei fatti.
Le agenzie di rating, nonostante decenni di critiche, rivestono un ruolo fondamentale non solo nel fornire una indicazione agli investitori della rischiosità delle emissioni di debito pubblico, ma anche nella normativa sul capitale bancario nota come Basilea II. Questo ruolo è stato assegnato dai banchieri centrali riuniti nel Comitato di Basilea. Gli stessi banchieri centrali, insieme ai rappresentati del Tesoro e di alcune autorità di regolamentazione, che qualche anno dopo e precisamente il 7 aprile del 2008, nel Financial Stability Board (organismo internazionale costituito per sviluppare e implementare politiche di supervisione e di regolamentazioni che garantiscano la stabilità finanziaria, presieduto al tempo da Mario Draghi) affermano: «I motivi di preoccupazione per le performance delle agenzie di rating comprendono: la debolezza dei modelli di rating e delle metodologie; inadeguata qualità delle garanzie dei titoli strutturati; insufficiente trasparenza riguardo alle assunzioni, ai criteri e alle metodologie usate nel rating di prodotti strutturati; insufficienti informazioni riguardo al significato e alle caratteristiche di rischio dei prodotti di finanza strutturata; insufficiente attenzione ai conflitti di interesse nei processi di rating » (Report of the Financial Stability Forum on Enhancing Market and Institutional Resilience).

Tra le raccomandazioni del gruppo de Larosiére, costituito nell’ottobre del 2008 su mandato del Presidente della Commissione Europea Barroso per analizzare le cause della crisi e proporre soluzioni per la supervisione e regolamentazione europea, si legge tra l’altro: «Riguardo la regolamentazione della Agenzie di Rating Creditizio [è necessaria] una profonda revisione dei modelli di credito, delle modalità di finanziamento della separatezza tra attività di rating e di consulenza; l’uso dei rating nella regolamentazione finanziaria dovrebbe essere significativamente ridotto nel tempo» (raccomandazione 3, pag. 20 del Rapporto).
E’ vero che le analisi si riferiscono ai rating del settore bancario. Ma dal momento che si tratta delle stesse agenzie che danno anche il rating ai debiti sovrani, come mai non si è ravvisata fino ad oggi, nella misura in discussione in questi giorni, la necessità di riformare anche questo settore?
I problemi posti dalle agenzie sono tanti e noti da tempo ma si è preferito non affrontarli fino ad ora. Diventa invece prioritario risolverli quando una di queste agenzie ha ridotto i rating di molti Stati Sovrani (a cominciare dagli Stati Uniti nell’estate dello scorso anno).
I problemi non si risolvono con la demagogia. Quello che afferma S&P’s corrisponde a verità. Che ci piaccia o meno. S&P’s ha detto con parole diverse ciò che i mercati avevano già da tempo, e in ben altro modo, affermato. L’Italia (e gli altri paesi declassati) è divenuta più rischiosa. Il fatto che non fosse una notizia nuova né inattesa, ma anzi perfettamente in linea con i mercati, lo indica sia l’assenza di reazione dello spread BTP/Bund sia la reazione delle Borse Valori che hanno chiuso tutte in positivo e lo spread si è addirittura ridotto.
Ma perché S&P’s ha ridotto il rating dei nove paesi dell’Eurozona? In generale i problemi sollevati da S&P’s riguardano la non soddisfacente gestione del rischio sistemico, la contrazione del credito, l’incremento del premio di rischio richiesto dai mercati agli emittenti sovrani, le deboli prospettive di crescita e il prolungato e non risolto dibattito tra i governanti europei su come affrontare e risolvere la crisi. Nel nostro caso: «I rating dell’Italia sono appesantiti da un elevato debito pubblico e da deboli potenziali di crescita. Sono invece sostenuti da un’economia in salute e diversificata, dall’atteso surplus primario e da considerevoli risparmi del settore pubblico».
Soffermiamoci sul nostro Paese. Nonostante il riconoscimento della bontà di alcuni elementi della nostra economia, S&P’s ritiene particolarmente rischioso il connubio tra l’elevato debito pubblico e la bassa crescita. Tutti gli organismi internazionali e gli osservatori qualificati stimano l’Italia in recessione per quest’anno. Ossia in crescita negativa. E senza crescita i bilanci pubblici e quindi il debito diventa più difficilmente sostenibile (a meno di generare inflazione, potere non più in mano ai singoli Stati, o avanzi primari di grandi dimensioni). Nel caso italiano le prospettive sono deboli perché il Governo non ha ancora proposto serie ed efficaci politiche volte alla crescita. Le liberalizzazioni di cui si parla in questi giorni sono necessarie per l’equità e per aiutare la crescita nel medio-lungo periodo, ma non sono il motore della crescita (anche se le stime recenti, Banca d‘Italia e Università Bocconi, indicano un impatto delle liberalizzazioni intorno a 1-1.5% del Pil. Valori forse eccessivamente ottimistici). Soprattutto non lo sono oggi.
I motori della crescita, a nostro avviso, sono due. Spesa pubblica di qualità per sostenere la domanda aggregata, non finanziata in deficit ma utilizzando parte delle entrate dell’ultima manovra, come sostenuto da diversi economisti. E poi riforma profonda del sistema fiscale, adeguandolo al modello europeo, permettendo la detrazione di molte/tutte le spese sostenute, rimodulando i carichi fiscali tra le diverse categorie. Entrambe le proposte non sono all’attenzione di questo Governo. In particolare la riforma fiscale non viene minimamente considerata nel silenzio generale (lotta all’evasione e riforma fiscale sono due temi distinti ancorché, ovviamente, interconnessi).
E la difficoltà non è solo italiana ma europea. Di oltre metà Europa che adotta l’euro. Questo contribuisce ad affermare che vi è un problema anche nel fondamento costitutivo dell’Unione Monetaria volto a garantire rigore a scapito della crescita. E’ possibile ottenere rigore e crescita insieme?
La risposta è affermativa. Evidenziamo preliminarmente che ci sembra fondamentale ripristinare la fiducia e stabilizzare le aspettative degli agenti economici. Questo obiettivo necessita anche dell’impegno formale e credibile del Governo e del Parlamento a non utilizzare provvedimenti retroattivi, si veda il caso delle pensioni ma anche del bollo auto, poiché non equi e perché non permettono agli agenti di modificare le scelte compiute se non sopportando, quando possibile, costi.
Le soluzioni proposte in materia di riforma fiscale e di spesa pubblica di qualità sarebbero in grado di far ripartire l’economia del paese. Il rigore può essere invece raggiunto con una lotta senza quartiere alla corruzione fatta con l’aiuto della magistratura e il supporto dei cittadini; con una seria e lunga analisi di revisione della spesa pubblica, magari anche tagliando alcuni servizi erogati o incrementandone il prezzo al cittadino, con l’impegno di ripristinarli non appena le condizioni generali lo permettano. E infine utilizzando l’incremento di entrate derivante dalla crescita economica e dalla lotta all’evasione per ridurre il debito pubblico.
E’ quindi necessario parlare di più della crescita e riportare il rigore nel suo giusto alveo naturale. Senza ideologia, né preconcetti e, soprattutto, senza individuare colpevoli di comodo che non aiutano il paese a uscire dalla crisi.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo!

FACEBOOK

© 2008 - 2024 | Bene Comune - Logo | Powered by MEDIAERA

Log in with your credentials

Forgot your details?