Cerchiamo piuttosto di capire quello che sta succedendo nel mondo. La destra americana aveva pensato di poter esportare la democrazia con le armi impantanandosi in un sanguinoso conflitto in Iraq costato una quantità incredibile di vite umane e ingenti risorse economiche. Con l’effetto di generare una spirale di odio ed avversione verso l’occidente. Obama ha puntato su un’altra politica. Un discorso di pace e di apertura verso il mondo arabo appena insediato e poi investimenti significativi in una strategia di diffusione della democrazia dal basso, attraverso quella stessa rete che aveva facilitato la costruzione del consenso elettorale attorno alla sua figura portandolo al potere. Non le armi, ma la riedizione di Radio Londra con le nuove tecnologie. Il bello di Internet è che non è controllabile. Se si possono controllare televisioni e giornali è difficile impedire che qualcuno possa postare un breve video per raccontare quello che sta succedendo in Libia. E infatti è su You Tube che abbiamo le testimonianze filmate più fresche anche se l’informazione è disordinata e non facilmente interpretabile.
Prepariamoci piuttosto al grande cambiamento che stiamo vivendo. Con una serie di cambiamenti strutturati stiamo passando da un mondo dove contavano soprattutto e quasi solo logiche top down ad uno dove le logiche bottom up saranno sempre più importanti. Azione dal basso dei cittadini attraverso le scelte di consumo e di risparmio, inter-grid, ovvero produzione di energia dal basso e comunicazione dal basso saranno sempre più importanti.
Il fattore rete ha prodotto un’accelerazione spaventosa non solo nella diffusione delle conoscenze, ma anche nella possibilità di fare confronti tra paesi. Nel primo caso, i moderni mezzi di comunicazione stanno accelerando il tasso di innovazione e la rapidità con cui scoperte scientifiche si susseguono. Nel secondo, come dimostrato in un working paper presentato al convegno di Bertinoro per l’Economia Civile e al Ministero del Tesoro negli scorsi mesi, hanno aumentato il grado di insoddisfazione per la distanza percepita tra la qualità della vita nel proprio paese e quella nei paesi nei quali si vive meglio. E quest’insoddisfazione è una molla che ha accelerato altri fenomeni. In primis i processi migratori, perché gli insoddisfatti riducono o pensano di ridurre la loro insoddisfazione trasferendosi nei paesi dove credono si viva meglio; poi i fenomeni di convergenza nella crescita: assieme ai tradizionali fattori identificati dagli economisti quest’insoddisfazione è la molla psicologica del recupero dei paesi emergenti, la stessa che interessò noi italiani nel primo dopoguerra; infine, il desiderio di colmare il gap non solo economico ma anche democratico con i paesi più avanzati.
Non sappiamo fino a quanto, perché è innegabile che la cultura europea ha molti più secoli di tradizione democratica, ma la rete sta accorciando le distanze della storia. A parte pochi settori, l’economia e gli scambi hanno bisogno di condizioni pacifiche per prosperare. Non sappiamo se questa spinta enorme basterà a trasformare regimi autocratici o dittatoriali in democrazie di mercato da subito ma è questo il vero impatto dell’economia su quanto sta accadendo (e non le oscillazioni dei prezzi petroliferi) a cui dobbiamo guardare.
La Libia, il petrolio e la rivoluzione della rete
Le preoccupazioni per la situazione economica di fronte alla crisi libica mi paiono assolutamente fuori luogo. Possiamo preoccuparci dell’aumento del prezzo della benzina quando si stanno perpetrando eccidi sull’altra sponda del mediterraneo e migliaia di persone vengono seppellite in fosse comuni? Quanto vale una vita anche se a distanza di sicurezza dalla nostra tranquillità? Meno di un aumento di qualche dollaro al barile?
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