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Questo articolo è stato pubblicato l’11 febbraio su L’osservatore Romano
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Se lo slogan tradizionale del World Social Forum, la ricerca di un’alternativa al sistema economico dominante prima della crisi (“un altro mondo è possibile”), diventa oggi in pratica l’obiettivo del summit dei grandi a Davos non possiamo permetterci di snobbare le riflessioni e le elaborazioni dei 155.000 partecipanti (tra cui cinque capi di stato latinoamericani) all’ultimo Forum appena concluso a Belem.

La storia recente insegna che il Forum è stato, assieme ad aspetti più pittoreschi e stravaganti, vetrina e laboratorio di innovazioni e sperimentazioni locali le cui prassi migliori sono state successivamente metabolizzate dagli attori principali del mercato. La conversione recente dell’intellighenzia economica a considerazioni critiche sul funzionamento del sistema, e le soluzioni oggi proposte per fronteggiare il problema ambientale, fino a qualche tempo fa potevano essere udite solo in questa arena così particolare ed erano considerate pericolosamente estremiste dagli economisti tradizionali. Ciò induce a pensare che se Davos e il Social Forum dialogassero e si confrontassero un po’ di più potremmo giungere più rapidamente a sintesi importanti.

Proprio questo appare essere il principale limite del dibattito economico contemporaneo. Nonostante la pletora di seminari e tavole rotonde, l’istinto dominante è quello di organizzare momenti di approfondimento con i propri simili evitando accuratamente occasioni di confronto tra prospettive e  visioni diverse.

Proviamo a colmare questo gap con un mini dibattito virtuale immaginando cosa i partecipanti al Social Forum direbbero a quelli di Davos e viceversa.

Nel primo caso i contenuti sono facilmente immaginabili.

Il social forum rivendica di aver previsto da tempo la crisi finanziaria mettendo in guardia dai pericoli della finanziarizzazione dell’economia. Significativo da questo punto di vista notare che le agenzie di rating sociale (Ethibel, Eiris, KLD), che orientano le scelte dei fondi etici in tema di investimento, avevano da tempo sconsigliato l’acquisto dei titoli azionari delle banche d’affari americane non per motivi morali ma per la scarsa trasparenza e i rischi connessi alle attività cartolarizzate. Il rating sociale ha insomma previsto il rischio finanziario meglio delle società di rating finanziario (Moody, S&P, Fitch) che, specificamente preposte a questo compito, hanno invece attribuito il grado di massima affidabilità ai titoli tossici e alle istituzioni finanziarie e creditizie che ne possedevano grandi quantità.

Scremando l’essenziale il forum indica alcune direzioni di marcia per costruire un’economia sostenibile. Rinforzare quei meccanismi economici (microfinanza, commercio equo e solidale) che si sono rivelati efficaci nel costruire percorsi di promozione di pari opportunità e uscita dalla marginalità. Sottolineando come essi insegnino che per combattere la povertà abbiamo bisogno di miniaturisti in grado di promuovere equità di rapporti economici lungo le filiere piuttosto che di inondazioni di produzione e di risorse finanziarie che, mal gestite, vanno ad ingrossare il debito. Irrobustire i circuiti dell’economia locale che creano valore economico, sociale ed ambientale sul territorio e fanno da rete di protezione alle fluttuazioni drammatiche delle macrovariabili reali e finanziarie nello scenario macroeconomico mondiale. Promuovere una maggiore giustizia contributiva cercando nei paradisi fiscali le risorse aggiuntive necessarie per finanziare i beni pubblici globali. In sintesi, mettere al centro dei processi economici la cura realizzata dalla “mano visibile”, il bene della persona e l’equilibrio ambientale definendo al contempo un set di indicatori di sviluppo più coerenti con questo obiettivo perché se le frecce indicano la direzione sbagliata non è possibile raggiungere la meta.

Davos risponde sottolineando che la ricchezza delle sperimentazioni locali deve essere compatibile con un insieme di vincoli aggregati che richiedono un certo livello di produttività e di creazione di valore economico per poter garantire il pagamento del debito e standard di vita adeguati ad una popolazione mondiale di più di 6 miliardi di persone che non può certo vivere di economia di sussistenza.

Se la sintesi sarà efficace lo vedremo sul campo nei prossimi anni. Per trovarla sarà essenziale coniugare professionalità e capacità di fare con sensibilità e solidarietà uscendo dagli stereotipi di un’efficienza perseguita a scapito della giustizia e viceversa.

Ciò che questa crisi ha reso ormai evidente è l’impraticabilità dei sentieri del riduzionismo antropologico ed imprenditoriali (che mettono l’avidità al centro del sistema) e di una politica di distribuzione dei redditi sperequata che alimenta la spirale del debito familiare ed è all’origine delle vicende odierne. Banale ma appropriato e dimostrato dai dati il commento di autorevoli economisti americani che oggi affermano sarebbe bastata un po’ più di forza sindacale negli Stati Uniti per evitare l’erosione dei redditi del ceto medio e il suo progressivo indebitamento che è stato la scintilla della crisi.

Non è più possibile dubitare del fatto che la società e le economie per poter sopravvivere hanno maledettamente bisogno di valori intangibili (fiducia, responsabilità, coesione sociale) che proprio i laboratori di economia solidale si sono dimostrati particolarmente abili a generare e produrre svolgendo un servizio di fermento e di lievito per tutto il sistema. E’ su queste basi che dovrà nascere una nuova sintesi in grado di creare le premesse sociali per un ben-vivere economicamente sostenibile.

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