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Il governo italiano aveva inserito in finanziaria la proposta di una tassa sulle transazioni finanziarie dell’1,5 per mille seguendo una proposta di provvedimento simile in discussione presso l’UE fortemente sostenuta dai governi tedesco e francese e una tassa del 35 percento sugli utili delle banche per trading speculativo con la quale si stimava di raccogliere fino a 4 miliardi.

Una mossa nella direzione giusta che risponde ad un elementare criterio di giustizia. La crisi finanziaria mondiale ha distrutto le finanze pubbliche in tutti quei paesi in cui le speculazioni delle banche hanno creato attivi senza valore in proporzioni elevate rispetto al PIL nazionale. L’Islanda dove questo indicatore aveva assunto proporzioni altissime è fallita, l’Irlanda ha visto aumentare il rapporto deficit PIL al 30 percento per i salvataggi bancari (10 volte la soglia di Maastricht per l’accesso all’euro). Il Regno Unito ha speso o accantonato il 44 percento del Pil per iniezioni di capitale o salvataggi diretti delle banche dopo la crisi. Perché mai il settore pubblico e più deboli devono pagare tutto il costo di una crisi di cui non sono responsabili ? Come abbiamo sostenuto nell’appello dei 150 economisti italiani confluito poi in quello dei 1000 economisti mondiali se la finanza speculativa “inquina” ovvero crea esternalità negative (effetti negativi su terzi) deve essere tassata proprio come accade per le emissioni inquinanti.
I due provvedimenti sono spariti il giorno dopo. Quale sarebbe l’argomento dirimente che ha fatto dissuadere il governo italiano dal mettere la tassa sulle transazioni finanziarie nella manovra ? Secondo molti un riferimento di Trichet che ha detto che se si fa la tassa solo in un paese o solo in Europa i capitali scappano altrove.
Ma Trichet si aggiorna prima di sfornare questi clichet ? Il primo argomento è un vecchio luogo comune totalmente sconfessato dai risultati della ricerca recente in finanza. La migliore dimostrazione che le tasse sulle transazioni finanziarie (i fissati bollati) non sono la fine delle borse a meno che non siano applicate a livello universale è semplicemente che esse (come dimostrato da un recente working paper del Fondo Monetario Internazionale) già esistono in singoli paesi (23 casi i più importanti) e non hanno provocato la scomparsa di queste piazze finanziarie. Anzi sono più alte in alcune piazze finanziarie che vanno per la maggiore (Londra e Hong Kong) e non hanno fatto scappare nessuno. Secondo, esistono venti studi scientifici che hanno misurato la reazione dei volumi delle transazioni a seguito dell’introduzione di nuove tasse sulle transazioni stesse. Le elasticità calcolate vanno da 0.5 a 2.5 in valore assoluto. Ovvero se si mette una tassa del 5 per 10000 si perdono da 2.5 a 1.25 transazioni ogni 10000. Ovvero non succede proprio niente. Ecco perché al London Stock Exchange la duty stamp tax sulla compravendita di titoli azionari che finanza la city è addirittura dello 0,5 percento.
Se vogliamo credere a Babbo Natale continuiamo pure a crederci. Se vogliamo guardare ai risultati della ricerca la situazione è del tutto differente. Piuttosto andiamo a vedere dove saranno quelli che hanno parlato a difesa della tassa tra qualche anno.

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