Il crollo della bolla del Nasdaq del marzo 2000 fu determinato dalla spaventosa ascesa dei corsi dei titoli high-tech con rapporti prezzi/utili stellari in presenza di utili correnti negativi di molte società dot.com.
Per giustificare quei corsi azionari analisti ed economisti finanziari formulavano aspettative di crescita degli utili futuri (utilizzando anche teorie esotiche come quelle delle opzioni reali) assolutamente irrealistiche.
La crisi di oggi ha natura completamente diversa ma nasce anch’essa da errori compiuti nei periodi di vacche grasse quando la liquidità abbondante a tassi bassi e la spinta delle grandi banche ad assumere rischi sempre maggiori per massimizzare la ricchezza degli azionisti ha posto le premesse del problema dei mutui subprime. Gli addetti ai lavori sanno che, se anche un corsivista autorevole come Hugo Dixon (uno dei più famosi nel mondo dei giornali finanziari) afferma che il meccanismo degli incentivi di chi governa le grandi banche non funziona, vuol proprio dire che il sistema sta riflettendo in maniera seria sulle proprie fondamenta.
Dixon dice una cosa molto semplice che altri ambienti non si stancavano di ripetere da tempo. Non è possibile che un amministratore delegato di una grande banca d’affari americana guadagni cifre spropositate (si arriva anche ad un rapporto di 500 ad 1 rispetto al salario del dipendente che guadagna meno) quando le cose vanno bene e guadagni le stesse cifre quando queste vanno male (perché tanto è lui a decidere se staccarsi o no un assegno o perché, in caso di licenziamento da parte degli azionisti, ha comunque il “paracadute d’oro”, ovvero una buonuscita che gli garantisce le stesse cifre).
A parte il problema morale la questione è che un manager con questo sistema di incentivi avrà una propensione al rischio smisurata ed entrerà in conflitto con gli interessi degli altri stakeholders, persino con quelli dei clienti della banca stessa, minando alla radice ciò che in fin dei conti tiene in piedi un’istituzione finanziaria, ovvero la fiducia dei clienti.
Interessante il confronto con il vituperato mondo della politica. Anche se “la casta” viene oggi additata dai più come colpevole di fare i propri interessi a scapito del bene del paese il controllo sociale su di essa è in realtà molto più forte. Il grado di attenzione dei media è tale che tentativi di aumento delle retribuzioni di deputati e senatori sono osteggiati e spesso bloccati. Ma le decisioni nella stessa direzione da parte dei grandi manager muovono cifre ben maggiori e sono sottoposte ad un controllo sociale molto inferiore.
L’unico elemento di speranza in questo quadro è che l’economia si va facendo sempre più multipolare. Dalle crisi finanziarie asiatiche degli anni ’90 i paesi di quell’area hanno imparato la lezione, riducendo il loro grado di sensibilità ai movimenti di capitali esteri, accumulando ossessivamente riserve che oggi sono investite attraverso fondi sovrani che intervengono in salvataggio delle grandi banche internazionali più in difficoltà. La pluralità di attori e la differenza delle strategie adottate è un importante elemento di diversificazione del rischio a livello internazionale. Se la FED insegue molto di più i mercati finanziari cercando di scongiurare la recessione, la BCE fa bene a non seguire lo stesso esempio. Il motivo vero per cui ciò avviene è che, grazie ad un comportamento più marcatamente antinflazionistico, la BCE si è costruita una reputazione attraverso la quale l’euro sta lentamente soppiantando il dollaro come valuta di riserva internazionale.
Sarebbe bene che le economie europee mantenessero salde alcune differenze caratteristiche proprio per attenuare i rischi di contagio internazionale in caso di crisi finanziarie (si guardi a quanto poco le banche più tradizionali sono state colpite dalla crisi subprime). Capacità di risparmio, un sistema di welfare che garantisce la copertura delle spese mediche ai non abbienti, livelli d’indebitamento nel credito al consumo bassi, banche che svolgono il loro compito tradizionale di prestare denaro e non di vendere aggressivamente prodotti derivati di cui non conoscono fino in fondo le caratteristiche sono virtù importanti e non è certo il caso di inseguire i modelli di oltreoceano.
Nelle pur ballerine classifiche della soddisfazione di vita gli Stati Uniti vengono sempre dietro i paesi dell’Europa continentale e il loro grado di felicità non ha affatto seguito la spettacolare ascesa del reddito pro capite del dopoguerra. Per non parlare del divario che ci sarebbe misurando l’investimento nel tempo libero, la ricchezza pro capite e la sua distribuzione tra le due aree.
L’eterogeneità dei sistemi aumenterà in futuro, come già avviene per la popolazione più dinamica, la possibilità di soddisfazione di vita di ciascuno che, votando con i propri piedi, potrà scegliere la cultura e il sistema socioeconomico più consono ai propri gusti.