Non sono le parole di un impenitente libertario, di un anarco-capitalista che vagheggia chissà quali strategie di privatizzazione del suolo lunare. Niente affatto, si tratta del padre del cattolicesimo politico italiano ed europeo, di uno dei maggiori interpreti del moderno pensiero sociale cristiano e di uno dei più autorevoli scienziati sociali del XX secolo. Un prete di Caltagirone di nome Luigi Sturzo. Il nostro pubblica queste righe il 29 dicembre del 1957, in un articolo dal titolo Paura della libertà. L’importanza di questo articolo è notevole, soprattutto in questi giorni, a margine della vicenda Alitalia e di come i nostri governi (quello uscente e quello in pectore) sembrerebbero essere orientati ad affrontare la questione. È interessante notare come Sturzo affermi che nessuna forma di “solidarismo” appare praticabile lì dove emerge la coesistenza di statalismo ed economia di mercato, mentre una politica orientata alla solidarietà sarebbe possibile solo lì dove il mercato libero convive con una politica statale di “cooperazione” e di “occasionale” e “più o meno concordato intervento”. Sarebbero queste le circostanze che consentono una politica equa e sana. In definitiva, Sturzo qualifica la sua posizione politico-economica con le caratteristiche tipiche dell’economia sociale di mercato. Non è un caso che Sturzo prenda come esempio il caso tedesco e statunitense e che W. Röpke, un padre di questa dottrina economica, tra i principali artefici del miracolo economico tedesco ed esponente di spicco della Scuola di Friburgo, ebbe ad indicare proprio nell’opera di Sturzo una inesauribile fonte di ispirazione. L’economia sociale di mercato sviluppata da Sturzo prende in considerazione tre elementi concettuali. In primo luogo, la libertà è unica ed individuale: “si perde la libertà politica e culturale se si perde la libertà economica e viceversa”. In secondo luogo, la libertà è espressione dell’autodisciplina oltre che della regolamentazione legislativa “per la coesistenza e il rispetto dei diritti e dei doveri reciproci”. Ed infine, la funzione principale dello stato è quella di “garanzia e di vigilanza dei diritti collettivi e privati”, di mantenere l’ordine pubblico, la difesa nazionale, la tutela e la vigilanza del sistema monetario e creditizio. Ed ancora, la tutela e la vigilanza della finanza pubblica, garantire la buona amministrazione. Solo secondariamente e “in via sussidiaria lo stato interviene, in forma integrativa, in quei settori di interesse sociale e generale nei quali l’iniziativa privata sia deficiente, sino a che sia in grado di riprendere il proprio ruolo”. Come si può notare, Sturzo non nega che in casi di necessità lo stato debba intervenire, ma circoscrive tali casi a situazioni di “emergenza”, per un periodo “temporaneo” e “in via secondaria e sussidiaria”. Quanto sta accadendo in Italia con il caso Alitalia dovrebbe spingerci ad un’attenta riflessione in ordine alla natura delle politiche interventiste che da più parti vengono richieste. Il Governo Prodi, su forte sollecitazione del Governo in pectore, ha accordato un ulteriore prestito ponte di 300 milioni di Euro, una modesta ricapitalizzazione pubblica (modesta rispetto alla voragine di debito che quotidianamente Alitalia produce) che ha sollevato non pochi legittimi dubbi in sede di Commissione Europea. In realtà, pur contando sui mesi estivi – notoriamente favorevoli alle compagnie aeree -, si stima che il prestito ponte consentirà ad Alitalia di giungere fino al mese di dicembre, al massimo di gennaio del 2009. A questo punto, sorge il dubbio che l’intervento governativo non abbia carattere “conforme” ad un’economia di mercato, ossia, non rispetti le condizioni quadro del mercato e della concorrenza, non abbia carattere temporaneo e non rivesta la forma di intervento secondario e sussidiario. Oltretutto, appare non conforme al criterio di “giustizia contributiva”, pesando sulla fiscalità generale, dunque su persone che non hanno alcun interesse diretto al salvataggio di Alitalia: perché chi non ha mai preso un volo Alitalia e presumibilmente mai lo prenderà nell’arco della sua vita dovrebbe pagare una tassa per far sopravvivere ancora qualche mese una compagnia evidentemente in stato di fallimento? L’azione politica in corso appare piuttosto come l’estremo tentativo di prendere tempo, sperando che qualche operatore internazionale sia disposto a riprendere la trattativa lì dove Air France l’aveva interrotta. Una cosa è certa, nessun operatore a questo punto potrà offrire più di quanto offrisse la compagnia franco-olandese, e la situazione non potrà che peggiorare. A meno che non si decida – subito – per la dichiarazione di fallimento e la riorganizzazione, su scala inferiore, di una nuova compagnia, sul modello svizzero, che possa riavviare un processo industriale economicamente virtuoso. Il problema è che il mercato non è semplicemente il risultato di una funzione matematica il cui esito è noto, anzi chi vive della propria attività imprenditoriale sa benissimo che non lo è affatto. Il mercato assomiglia molto più ad un’equazione senza risultato, ad una rete di informazioni che guidano gli investitori verso soluzioni sempre più razionali, ma che si scoprono di volta in volta, passando per un processo di tentativi ed errori; sempre che si sia disposti ad imparare dagli errori propri ed altrui! Il mercato non è un “dio”, ma neppure un giullare di cui ci si possa prendere gioco impunemente, le sue informazioni andrebbero prese sul serio se intendiamo rispondere positivamente alla prima legge economica che, passando per sublimi economisti e scaltri tecnocrati, da Senofonte fino alla brava massaia dei nostri giorni, è rimasta immutata e nessuno potrà mai cambiare: “i soldi non si buttano”, tanto più quando non sono nostri.
Alitalia. Misure concrete, non inutili sprechi
“Purtroppo da noi esiste, volere o no, un’impresa industriale ibrida, la statizzata e la privata, la prima con privilegi monopolistici, con larghe garanzie statali, con facilità di mezzi, e senza il senso del rischio; la seconda con un’antica tradizione di favori statali, con facilità di mezzi e senza il senso del rischio; perfino operatori industriali che cercano favori particolari perdono di vista il valore della libertà economica e i reali interessi della produttività nazionale”.
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