Il cavallo di battaglia del nuovo governo appena insediatosi, è stato e continua ad essere l’abolizione totale dell’Ici sulla prima casa, senza oneri per i Comuni. Di fatto, a causa dei pesanti tagli ai trasferimenti agli Enti Locali, operati dagli anni Novanta ad oggi, l’Ici rimane una delle fonti certe di entrata nelle casse comunali, nonché la più consistente.

Nata come imposta straordinaria sugli immobili, col decreto legislativo 504 del 1992 ha preso la forma attuale sostituendo i trasferimenti che venivano erogati dallo Stato. Secondo le stime elaborate da Anci e Ifel, il costo dell’abolizione dell’imposta sull’abitazione principale, ammonterebbe a circa 2,5 miliardi di euro; è evidente che il mancato introito, se da un lato rende più sopportabile acquisti e locazioni di immobili per i cittadini, dall’altro preoccupa numerosi amministratori pubblici che spesso programmano le proprie politiche di bilancio sulle previsioni di entrata derivanti giustappunto dall’Ici.
Il proposito di alleggerire l’imposta comunale sugli immobili era già presente nella Finanziaria 2008 che ha introdotto una detrazione sulla prima casa pari all’1,33 per mille della base imponibile, fino ad un massimo di 200 euro senza limiti di reddito, cui si somma la detrazione di 103,29 euro, già in vigore. Secondo tale meccanismo, il 40 per cento delle abitazioni è esentata dal pagamento dell’imposta, mentre con l’abolizione totale dell’Ici, il risparmio medio delle restanti famiglie italiane – tenendo conto delle differenti rendite catastali e delle differenti aliquote stabilite dai comuni – sarebbe quantificabile in circa 150 euro.
Considerando il gettito totale, l’incidenza dell’Ici sulla prima casa rappresenta circa il 25 per cento del totale, mentre il restante 75 per cento di imposte comunali sugli immobili, deriva dagli immobili commerciali e industriali, dalle aree edificabili e demaniali, dai terreni agricoli, da seconde e terze case. Inoltre, dall’abolizione dell’Ici rimarrebbero esclusi gli immobili che appartengono alla categoria catastale A1, A8 e A9 ovvero, le abitazioni di lusso, le ville e i castelli. Pertanto, se da un lato c’è una forte paura per la mancanza di una consistente entrata nelle casse dei comuni – che spesso si traduce in capacità degli stessi di erogare servizi per i cittadini – dall’altro lato non sembra così impossibile attuare una simile manovra fiscale senza danneggiare ed ingessare ulteriormente i bilanci degli Enti Locali. Per compensare le minori entrate comunali, una delle strade percorribili sembrerebbe quella dell’incremento della compartecipazione al gettito Irpef. Accanto a questa soluzione, sarebbe auspicabile una reale lotta all’evasione fiscale che coinvolga i comuni nell’accertamento, una maggiore razionalizzazione della spesa e, infine, che fossero affidati agli enti locali migliori strumenti e maggiori competenze in tema di fiscalità sugli immobili, relativamente alla possibilità di definire aliquote, base imponibile, imposta comunale e imposta di registro.
 
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