In tutto questo argomentare o polemizzare, le donne hanno qualcosa da dire? Esiste un punto di vista femminile su tali questioni o, ancora una volta, ci dobbiamo rassegnare ad assistere a un discorso politico interamente condotto dagli uomini, sul piano delle regole e delle forme, mentre alle donne resta (quando va bene) il compito di occuparsi delle “cose da fare”. Ottimo primato della concretezza, ma insidioso quando intanto qualcuno ragiona su questioni di principio in cui ne va della democrazia, delle regole e dei valori.
Proviamo allora a far entrare il sapere femminile e alcune sue fondamentali acquisizioni in questo dibattito. A cominciare da questo: le donne non credono nella logica binaria e dicotomica. Le donne “tengono insieme”: il dentro e il fuori, l’interno e l’esterno, il pubblico e il privato. Funzionano secondo una logica connettiva, compositiva, circolare più che gerarchica.
In questo senso è lecito aspettarsi che dal punto di vista femminile si può essere tecnici “e” politici, tecnici “in quanto” politici, e viceversa. Le donne non pensano ad una politica che decide e ad una tecnica che organizza, ad una politica che ha la visione strategica e ad una tecnica che gestisce l’ordinaria amministrazione o, all’opposto, l’emergenza immediata. Le donne sanno da tempo (da sempre) che quando si va a fare la spesa si fa un’esperienza di cittadinanza responsabile, che quando si fa lavoro di cura si contribuisce al bene comune, che quando ci si immerge nel quotidiano ci si occupa del mondo, e non del proprio “particolare”. Dunque: in questa frontale contrapposizione tra tecnica e politica sembra nascondersi un modo di considerare la politica, e la tecnica, che è il frutto del pensiero maschile, con le degenerazioni maschiliste che questo comporta e ha comportato nella storia.
Seconda considerazione. La crisi chiede che ci si affidi ai tecnici, a “chi sa”: se è in crisi l’economia, ci vorranno economisti! Come se la crisi da cui siamo investiti, “localizzata” nell’economia finanziaria, non fosse globale non solo in senso planetario, ma anche in senso culturale: etico, umano, spirituale. Come se la malattia economica non chiedesse una terapia integrale. L’ha capito per primo il papa teologo: Benedetto XVI nella Caritas in veritate ha lucidamente individuato nell’intero modello di sviluppo e nel suo impianto antropologico il vero problema da risolvere e la sua autentica portata. Verrebbe da dire che il punto di vista relazionale e connettivo di papa Ratzinger sia in totale sintonia con il pensiero femminile, con lo sguardo delle donne che rifiuta l’astrazione e la sua sorella gemella: l’enfasi della “specializzazione”, di cui la tecnica è diretta filiazione. Dunque: c’è bisogno di tecnici esperti di umanità e non solo di economia, ma anche di politici competenti e non solo di lungo corso, smaliziati frequentatori delle regole del consenso.
Infine, terza e ultima riflessione. Le donne sanno che per fare non solo politica ma qualunque attività socialmente utile, bisogna partire dalle persone e dalle loro vite. Il divorzio tra la politica e la vita vera, autentica produce mostri, non meno che il sonno della ragione.
Ma anche il divorzio tra tecnica e visione, tra ragione e sentimenti, tra calcolo e immaginazione ci allontana dalla realizzazione del bene comune: che è di tutti perché ri-guarda ciascuno.
Una tecnica esangue, corretta nelle procedure ma incapace di misurarne l’efficacia sul metro della vita delle persone, a partire dalle più fragili, non può “sortire insieme” dai problemi. Che è, come sapeva don Milani, la vera sostanza della politica. E forse anche il vero compito della tecnica in una cornice di umanesimo integrale. Anche le donne lo sanno. Per questo forse tacciono perplesse in tutto questo discutere di “tecnici” e “politici”.
Tra tecnici e politici. Il punto di vista delle donne
L’attuale fase del nostro Paese, tra spread e crisi della politica, ci presenta anche la questione su “chi comanda” di fatto e chi ha la legittimazione per farlo. Detto altrimenti: l’autorità è dei “tecnici” in attesa del ritorno dei politici? E secondo alcuni addirittura del ritorno della democrazia rappresentativa? L’interrogativo è chiaro, ma non altrettanto la risposta, che troppo spesso dipende dal posizionamento o dall’interesse di chi la dà. Ad esempio, c’è chi sostiene che la differenza tra “tecnici” e “politici” diventa puramente accademica dal momento in cui i tecnici sono al governo. Dunque decidono, politicamente sempre e comunque.
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