E’ utile partire dalla definizione di famiglia, spesso richiamata in ambito demografico.
La famiglia, (household) quando non è unipersonale, è costituita da un insieme di persone coabitanti che, per effetto di vincoli di varia natura (matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune), si relazionano tra tempi di vita, bisogni ed eventi, personali e comuni. La famiglia è infatti considerata figurativamente come un luogo in cui le linee biografiche di più persone si intrecciano, punteggiandosi di eventi cruciali che ne definiscono le tappe più significative del suo corso di vita. Se allarghiamo lo sguardo anche ai non conviventi, entro il concetto di famiglia può rientrare anche la parentela (kinship), fatta di nonni, zii e altri parenti. O ancora, anche entro le cosiddette famiglie ricostituite (stepfamilies), nate a seguito di una separazione e/o divorzio, si dipana la vita di un gruppo di persone con età, esigenze e interessi diversi. Nell’ambito familiare i genitori hanno compiti principalmente educativi e per questo capita, più o meno frequentemente, che siano chiamati a scegliere per i propri figli. I figli, d’altro canto, insieme ai genitori e nella vita familiare imparano a conoscersi e a scoprire i propri talenti (anche sportivi). I genitori possono inoltre trasmettere passioni e interessi anche sportivi, che a volte sono accolti favorevolmente dai figli.
Per meglio cogliere i punti di contatto tra la dimensione familiare e quella sportiva è inoltre necessario richiamare alcuni dei più significativi e recenti cambiamenti che hanno investito il modo di ‘fare famiglia’ in Italia. Confrontando lo scenario attuale con quello di circa un ventennio fa si coglie una decisa contrazione della dimensione media dei nuclei (nuclearizzazione), come risultato sia della riduzione del numero di coppie con figli, non compensata dalla accentuata longevità degli ascendenti, sia dell’addensamento delle famiglie uni-personali (composte di un solo membro), causato dalla crescita esponenziale di anziani (in gran prevalenza donne) e – in aree urbane – dei single giovani-adulti (che iniziano a uscire dalle mura di casa senza necessariamente formare subito una coppia) e adulti (per l’aumento di separazioni, divorzi e in generale dello scioglimento di unioni anche di fatto). E’ infine meritevole di nota anche l’incremento delle coppie miste e delle seconde generazioni di stranieri per effetto dell’accresciuta immigratorietà.
Consideriamo ora qualche dato di sfondo sulla pratica sportiva. A tale riguardo si considera come attività sportiva quella svolta nel tempo libero con carattere di continuità o saltuarietà dalla popolazione di 3 anni e più, escludendo le persone che partecipano al mondo dello sport per ragioni professionali (atleti professionisti, insegnanti, allenatori). Con riferimento all’ultima indagine Istat Multiscopo le persone di tre anni e più che praticano sport sono 18 milioni e 800 mila (circa un italiano su tre): il 21,9 per cento in modo continuativo, il 10,2 saltuariamente. L’analisi temporale mette in luce un aumento della propensione alla pratica sportiva (dal 26,8 per cento del 1997 al 32,1 per cento del 2011; l’analisi territoriale mostra invece una differente attitudine alla pratica sportiva tra le ripartizioni del Paese (cfr. fig. 1)
Fig. 1: Persone di 3 anni e più che praticano sport per regione, anno 2011 (per 100 persone con le stesse caratteristiche)
Fonte: ISTAT, Indagine multiscopo annuale sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana”.
L’analisi differenziale per classe di età e fase del family life course (schema che indentifica i passaggi che nel corso del tempo si realizzano nel contesto familiare) mostra infine una predominanza della pratica sportiva nelle età giovanili, quando si è figli entro una famiglia già formata. Si rilevano tuttavia percentuali significative di uomini (e un po’ meno di donne) che praticano attività sportiva anche ad età in cui solitamente si vivono le fasi di formazione (dal matrimonio/convivenza alla nascita del primo figlio) e di stabilità (dalla nascita dell’ultimo figlio all’uscita di casa del primo figlio) del processo di evoluzione di una famiglia.
Fig. 2: Persone di 3 anni e più che praticano sport in Italia per classe di età e sesso, anno 2011 (per 100 persone con le stesse caratteristiche).
Fonte: ISTAT, Indagine multiscopo annuale sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana”.
La rilettura congiunta di questi due scenari, seppur sinteticamente descritti, offre perlomeno sei spunti di riflessione:
1) Lo sport può avere un ruolo in diverse fasi della vita familiare. In quelle di formazione e stabilità la funzione educativa o di supporto all’attività educativa dei genitori appare la più promettente; nel tempo di contrazione (quando i figli, ormai autonomi, iniziano a uscire dalla casa genitoriale) la funzione può essere quella di riavvicinamento tra i partner per condivisione di interessi, o, al contrario, di allontanamento reciproco per interessi non condivisi; nel momento in cui si vive il cosiddetto nido vuoto lo sport potrebbe invece aiutare ad affrontare meglio i cambiamenti fisici dovuti all’evoluzione biologica.
2) Lo sport per il dialogo in famiglia. La condivisione di interessi e passioni sportive può favorire il dialogo tra i componenti familiari. Dal dialogo si sviluppano capacità di ascolto e di apertura anche su temi più difficili.
3) Lo sport per stare insieme e per mettere le generazioni in dialogo. In Italia la famiglia sta diventano estesa, ma al di fuori delle mura domestiche. Ci si aiuta, ci si incontra per i bisogni di vita quotidiana, si entra in relazione, ma poi ognuno ritorna nella propria casa. In questo scenario lo sport può offrire occasioni per raccontarsi, stare insieme partecipando alle manifestazioni e/o gare dei componenti famigliari o guardando insieme le competizioni alla televisione o dal vivo.
4) L’attività sportiva e la frequentazione della palestra possono anche essere occasioni e luoghi di prevenzione, comunicazione e informazione. Per la famiglia questo può facilitare la fase educativa dei propri figli, prevenendo problemi come il bullismo, il consumo di droghe, l’uso della violenza, l’incomunicabilità, etc. Lo sport diventa allora un’occasione per affrontare e risolvere situazioni di disagio giovanile. A tal fine gli allenatori possono rappresentare interlocutori diversi dai soliti soggetti con i quali i propri figli possono più facilmente interagire e chiedere aiuto.
5) A fronte dell’incremento dell’instabilità coniugale, soprattutto in caso di presenza di figli, lo sport può diventare uno strumento che favorisce la genitorialità anche tra genitori separati e/o divorziati. Per una partita di basket, di calcio, un saggio di ginnastica artistica è più facile che i genitori si incontrino per essere presenti nella vita del figlio. Si tratta di occasioni che non richiedono particolare coinvolgimento emotivo e/o fisico.
6) Lo sport può favorire l’integrazione sociale con famiglie di stranieri e/o con coppie miste. La presenza di un bravo giocatore aiuta a parlarsi, ad incontrarsi, e inoltre la bravura o le capacità sportive avviano un processo di conoscenza reciproca anche tra gli adulti cui piace partecipare ai successi della squadra dei propri figli. Sebbene sia difficile trovare dati che confermino ciò, sarebbe oltremodo interessante capire se attraverso la pratica sportiva migliori anche il rendimento scolastico dei figli di stranieri e l’integrazione culturale delle loro famiglie.