Una parte della sinistra sta già cavalcando questa ingenua prospettiva. Magari, verrebbe da dire, magari questo rigurgito di violenza dipendesse dai risultati delle ultime elezioni. Sarebbe allora un problema facilmente risolvibile. Ma purtroppo le cose non stanno così.
Scopriamo che gli assalitori al Pigneto non sono affatto di destra, che anzi Ernesto, uno dei protagonisti, ha il Che tatuato sul braccio ed è di sinistra. Scopriamo che il paradiso delle diversità che convivono arricchendosi a vicenda può diventare una favoletta retorica raccontata dai tanti professorini e ragazze-bene politicamente corretti, che però abitano ai Parioli o al Flaminio e non sanno che cosa significhi girare di notte per certi quartieri. Anche in tanti commenti che abbiamo letto in questi giorni si evidenziano una povertà e una superficialità interpretative che fanno paura.
Al Pigneto di Roma come a Ponticelli a Napoli sta esplodendo una rabbia che è più profonda delle motivazioni politiche cui siamo abituati, è una sorta di rabbia antropologica radicale, la rabbia di chi percepisce che il terreno di tutte le proprie certezze sta franando sotto i suoi piedi, e non sa più a che cosa appigliarsi.
E questa rabbia non è affatto un fenomeno solo italiano, né tantomeno “di destra”, ma erompe in tutta Europa, nella civilissima Olanda o a Parigi, in questo continente che nel 1950 rappresentava il 32% della popolazione mondiale e che alla fine del XXI secolo dovrebbe attestarsi al 4%. Un continente di vecchi e di depressi, in cui più del 15% ha superato i 65 anni, mentre si prevede che nel 2030 il 20% dei cittadini saranno immigrati.
E tutto questo avviene in una fase di rallentamento economico, che acuirà rapidamente i conflitti per la ripartizione di risorse già scarse. Prepariamoci perciò al peggio.
L’Europa si sta dirigendo verso questi scenari allarmanti con un pensiero “di sinistra” che continua nella solita retorica dell’immigrazione come grande opportunità, anzi come soluzione dei nostri problemi demografici, del multiculturalismo che ama tutte le culture tranne la propria, e difende tutte le etnie tranne quella italica, subito accusata di razzismo non appena osa lamentarsi del fatto più che evidente che aree intere delle nostre città sono diventate ormai off limits. Dall’altra parte si riaccende una xenofobia becera e violenta, che tira fuori improponibili ideali nazionalistici di patria o di famiglia, a metà strada tra la retorica littoria degli anni ’30 e la peggiore propaganda clericale.
Stiamo messi male. Urge una rinascita spirituale e culturale a tutto campo, un vero e proprio ricominciamento. Per accogliere e integrare qualcuno è prima necessario che chi vuole aprirsi all’altro sia forte e consapevole di sé. Altrimenti non c’è alcuna integrazione, ma confusione e caos. Noi europei invece stiamo aprendo le porte di casa nostra con una sorta di disprezzo della nostra identità, addirittura quasi negando che esista una tradizione cristiano-occidentale. La cultura della sinistra europea porta con sé un profondo odio per tutte le nostre tradizioni, un pregiudizio di rifiuto globale dei padri, un antico sospetto e quasi un’allergia per tutto ciò che è spirituale, che le rende difficile se non impossibile l’opera di recupero critico della nostra storia che sarà necessario. Sarà dunque, come sostiene Giulio Tremonti, una nuova destra europea a compiere questi passaggi, a discernere nella modernità, come ripete da anni Charles Taylor, ciò che dobbiamo abbandonare per sempre da ciò che può ancora illuminarci? Oppure questa destra si asserraglierà nello spirito della difesa egoistica dei propri privilegi e nella cultura del degrado mentale, così bene diffusa tutti i giorni da Mediaset come dalla RAI?
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