I dati sullo stato dell’insicurezza alimentare resi noti dalla FAO, oltre al problema dell’aumento del costo delle sementi e delle derrate alimentari sollevano alcune domande di fondo su quanto sia stato fatto negli anni per migliorare le condizioni sociali e materiali dei paesi più poveri.

Negli ultimi anni, l’intervento dell’uomo sull’evoluzione delle specie coltivate, più che facilitare l’accesso al cibo, ha portato ad un progressivo aumento della vulnerabilità delle colture, una crescente diminuzione della sicurezza alimentare, e un controllo del mercato alimentare nelle mani di pochi produttori. Chi sconta i danni peggiori di questo impoverimento sono coloro che vivono in Paesi dalle condizioni climatiche e sociali più difficili, dove la scarsezza di beni comuni come l’acqua, la povertà diffusa e l’indisponibilità delle sementi sono una realtà più che mai critica.

Poteva (o ancora può) l’uomo manipolare l’evoluzione delle piante coltivate in modo da soddisfare le necessità alimentari della popolazione umana e, al tempo stesso, mantenere la biodiversità necessaria per la sopravvivenza delle generazioni future?

Il mondo della ricerca in questi ultimi anni ha cercato di dare una risposta a questo grave problema: le biotecnologie, attraverso il miglioramento genetico, hanno proceduto ( e procedono) alla  selezione per di migliorare, nelle specie coltivate, le caratteristiche utili all’uomo. Ma le varietà selezionate nelle stazioni sperimentali spesso non rispondono alle necessità degli agricoltori e in particolare dei più poveri e di quelli che operano in ambienti marginali o in sistemi agricoli privi di input chimici (agricoltura biologica).

In molte zone dell’Africa, del Medio Oriente, dell’America Latina e dell’Asia, le produzioni di colture chiave, tra cui l’orzo, sono cronicamente basse, e l’abbandono della coltura é frequente. Il miglioramento genetico qui ha avuto poco effetto, sopratutto perché la maggior parte degli agricoltori rifiuta le varietà moderne a causa di produzioni o qualità inferiori. Questo approccio convenzionale al miglioramento genetico é tipicamente centralizzato e top-down, con poca attenzione alle reali condizioni in cui gli agricoltori dei paesi poveri operano.

Verso la fine degli anni 90, però, si cominciò a sperimentare un nuovo modo di fare ricerca insieme agli agricoltori nelle zone marginali della Siria, del Marocco e della Tunisia. Il programma di miglioramento genetico dell’orzo presso l’ ICARDA (International Center for Agricultural Research in Dry Areas)*, noto come Miglioramento Genetico Partecipativo,   ha messo insieme agricoltori, biologi e sociologi con lo scopo di rispondere alle necessità dei piú poveri e di coloro che vivono e lavorano in condizioni sociali ed ambientali difficili.

Uno dei vantaggi del miglioramento genetico partecipativo, rispetto al miglioramento genetico convenzionale, risiede nell’aumento della biodiversità, perché gli agricoltori selezionano varietà diverse in località diverse (e spesso addirittura nella stessa località) a causa del differente adattamento delle piante ai diversi micro-ambienti, come quelli tipici dell’agricoltura biologica, e a seconda delle diverse preferenze individuali o di mercato.

In aggiunta a tutto ciò, le varietà selezionate sono spesso eterogenee e continuano ad evolvere, e dunque si adattano sempre meglio, offrendo una risposta concreta ed efficace al problema dei cambiamenti climatici.

Al contrario dell’approccio convenzionale, la decentralizzazione del miglioramento genetico coinvolge gli agricoltori fin dall’inizio del processo -quando la variabilità genetica é ancora grande- avvicinando così agricoltori e ricercatori affinché gli uni apprendano dagli altri. La preparazione di un programma di miglioramento genetico partecipativo comincia con discussioni con gli agricoltori per mettere in chiaro fin dall’inizio che cosa la partecipazione comporta in termini di impegno e che cosa ci si può aspettare. Gli agricoltori partecipano con gli stessi diritti dei ricercatori – il che significa che le loro opinioni hanno la stessa importanza di quelle dei ricercatori. Durante queste discussioni vengono concordati i dettagli tecnici del programma, quali numero di linee da saggiare, tecniche agronomiche, come e quando condurre la selezione, chi partecipa alla selezione, ecc. L’accento di questo tipo di ricerca é sulla libertà degli agricoltori di fare ciò che loro pensano sia importante, in un modo che abbia per loro significato e quando ritengono sia appropriato farlo. L’ idea della partecipazione degli agricoltori alla ricerca non é né nuova né rivoluzionaria: per 10.000 anni uomini e donne hanno deliberatamente modificato il fenotipo, e quindi anche il genotipo, di centinaia di piante coltivate annuali e perenni, come una delle routine quotidiane.

Con gli esperimenti condotti tra 1996/97 e il 1999/2000 è stato dimostrato che la partecipazione degli agricoltori nel processo di selezione condotto nelle loro condizioni agronomiche e climatiche, non solo è efficace, ma accelera notevolmente il processo di adozione delle nuove varietà senza il coinvolgimento dei complessi meccanismi del rilascio ufficiale delle varietà, della produzione di seme certificato e della divulgazione. Questi meccanismi, generalmente introdotti dai paesi sviluppati insieme con le filosofie e le metodologie del miglioramento genetico convenzionale, non sono quelli usati dalla maggioranza degli agricoltori piú poveri: la maggior parte del seme e dell’informazione da loro usata proviene o dal loro campo, o da quello del vicino o dal mercato del villaggio.

Questo approccio ha avuto molto successo presso gli agricoltori tanto che essi hanno richiesto di estenderlo ad altre colture e, ad oggi, coinvolge agricoltori in Siria, Egitto, Eritrea, Giordania, Algeria e Iran e presto anche in Etiopia. In paesi come lo Yemen e il Marocco programmi simili sono oggi condotti autonomamente dai ricercatori locali. In Eritrea lo stesso approccio é applicato a frumento, lenticchia, cece e fava. Il frumento é anche parte dei programmi in Algeria, Iran e Giordania mentre gli agricoltori in Iran sono interessati anche agli ortaggi. Programmi simili si stanno realizzando anche in Francia e sono agli inizi negli Stati Uniti.

L’importanza di simili iniziative è nella loro ricaduta sociale, oltre che nelle implicazioni tecnico-scientifiche: restituiscono ai piccoli produttori i mezzi per fronteggiare la povertà, pongono le basi per uno sviluppo dal basso e sostenibile e danno un impulso all’inclusione sociale coinvolgendo direttamente anche le donne che, con la loro esperienza, danno valore aggiunto al lavoro di selezione. L’approccio partecipativo alla ricerca esclude ogni forma di discriminazione di genere, educazione, ricchezza, religione e razza; crea importanti occasioni di scambio culturale e, perché no, può dare un fondamentale contributo alla realizzazione del bene comune.

rn

 
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