Un recente studio del laboratorio IN. DI. CO. ( Informazione – Diritto – Comunicazione) dell’Università di Salerno ha dimostrato, in termini oggettivi ed avendo come riferimento le tre maggiori testate quotidiane italiane, che, mediamente la pubblicità che appare sui giornali sfiora quasi la percentuale di notizie pubblicate, mentre gli annunci commerciali, in alcuni giorni della settimana superano addirittura l’informazione;

in altre parole, “ subiamo” più pubblicità che notizie! Il dato, di per sé numerico, va interpretato e valutato criticamente. Che i giornali debbano fare ampio ricorso alla risorsa pubblicitaria, in assoluto, non crea problemi. Il nodo è tuttavia un altro; dalla prima legge sulla stampa in Italia – la legge 47 del 1948 – editoria, informazione ed attività giornalistica sono state sempre accomunate o, forse è meglio dire, “avvolte” dalla stessa aura di “ missione sociale”, di “ sacerdozio della democrazia”! Sotto l’ombrello protettivo dell’articolo 21 della Costituzione – in realtà, dedicato alla libertà di manifestazione del pensiero – l’informazione ha avuto modo di ricevere privilegi di trattamento. E ciò è avvenuto sul piano delicatissimo della responsabilità civile e penale del giornalista: ci sono voluti anni ed anni di giurisprudenza perché si facesse strada l’idea del limite insormontabile dei diritti dei cittadini, che il giornalista può “ ledere” soltanto a fronte delle tre note esimenti, dell’utilità sociale, della forma civile dell’esposizione e della verità, almeno putativa, della notizia. Ma quel che è più rilevante è la giustificazione, seppur indiretta o “ culturale” che l’articolo 21 ha fornito a decenni di “ provvidenze all’editoria”. Se si ripercorre la storia post – bellica della legislazione di sostegno alla stampa si incontrano, con cadenza periodica, spesso non casuale ( a inizio o fine legislatura) provvedimenti di aiuti di Stato agli editori, di partito e non. Attualmente sopravvive soprattutto il cadeau di circa 300milioni di euro all’anno per contributo alle spese di spedizione postale giustificato ( !) sul presupposto del malfunzionamento del sistema postale italiano; è come dire che, poiché Poste Italiane, società per azioni, funziona male, e gli editori, imprenditori privati, debbono provvedere con propri spedizionieri, la collettività contribuisce a far fronte a tale spesa! In quale altro settore tutto ciò sarebbe tollerato!? E, come se non bastasse, in certi giorni della settimana, compriamo il giornale “ sovvenzionato”, che, giustamente, secondo logica di mercato, ci vende più pubblicità che “ prodotto” informativo! E’ chiaro che urge una riflessione ed è indifferibile una riforma; al di là del tono populista di certe campagne, è vero che vanno con urgenza eliminati i guasti di cinquanta anni di editoria assistita, altrimenti nessuno potrà lamentarsi se in Italia mancano editori “ puri”, e proliferino soggetti che pubblicano giornali e costruiscono palazzi, o imbottigliano acque minerali o fanno direttamente politica… Soltanto il confronto con un mercato reale e non drogato da interventi di sostegno a carico della collettività genera vere imprese editoriali e giornalisti che rispondono unicamente ai lettori, di cui sono garanti! E ciò attiene anche alla qualità ed allo stile del giornalismo italiano… ma questa è un’altra puntata, che coinvolge anche la riflessione sull’abolizione degli ordini dei giornalisti: ognuno ha le sue caste!

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