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Mancano pochi giorni alla beatificazione di Giuseppe Toniolo e negli ultimi tempi vari echi si sono avvicendati per recuperare la memoria di un uomo e di un cristiano, stimato ma probabilmente ancora non molto studiato. D’altra parte, di lui si conosce tuttora poco. I venti volumi della sua opera sono stati pubblicati fra il 1947 e il 1953, poi, di recente, sono stati pubblicati alcuni profili biografici e studi comparatistici, che permettono qualche prima riflessione sulla sua testimonianza in seno al movimento cattolico, di allora come di oggi, e alla sua necessità di un ripensamento.

Toniolo nasce nella Treviso asburgica del 1845, si laurea in Giurisprudenza a Padova e si dedica all’insegnamento universitario, dopo aver tentato sia la professione forense sia quella notarile.
Morirà nel 1918 e fino all’ultimo giorno ebbe come priorità la famiglia e lo studio.
Il resto della vita, non meno importante per noi che abbiamo la fortuna di riconoscerlo a distanza, è stato costantemente finalizzato alla prima e raggiunto grazie al secondo. Così si è verificato per il suo impegno sociale, coinvolto in qualità di laico autorevole in numerose battaglie culturali; così pure per la sua eccellente capacità organizzativa imparata nell’Azione Cattolica, che gli permetterà anche di fondare l’Unione Cattolica per gli Studi Sociali, la Rivista Internazionale di Scienze sociali e discipline ausiliarie, nonché le Settimane sociali dei Cattolici d’Italia.

Molti si son soffermati sul Toniolo economista e sociologo, artefice pacato, ma non meno coraggioso, di feconde intuizioni che paiono conservare una validità tale da poter offrire qualche ausilio in termini di idee anche ai c.d. “tecnici” intenti a guidare il nostro Paese.
Non meno feconda, però, è l’opera del trevigiano nell’orizzonte del “bene comune”. Da queste disamine (Toniolo fu anche giovane docente di filosofia del diritto) si possono prendere in consegna come vere e proprie perle preziose alcune sue scommesse che paiono ora “inedite” per quanto sono taciute. Si tratta spesso di intuizioni fugaci, da profeta coraggioso, da uomo volutamente vincolato innanzi tutto al riconoscimento dell’esperienza concreta e mai affascinato dalla struttura del progetto, dal rigore del programma, dall’utopia della pianificazione.
Ne “Il concetto cristiano di democrazia” (1897) notiamo un intento generale, ma non meno importante da conservare nell’equilibrio dei concetti, per il quale “L’essenza della democrazia (…) è determinata dal fine, e consiste nella cospirazione del pensiero e delle opere di tutti gli elementi e gradi sociali al bene comune e proporzionalmente al bene prevalente delle moltitudini bisognose di tutela e soccorso sociale”. In proporzione al bene (comune) per Toniolo sussiste il bene (prevalente) dei bisognosi. Un legame inscindibile tra comunità e soggetti deboli che riconosce l’elemento unitario del concetto di “bene” che torna spesso nelle riflessioni del trevigiano.
Sul significato di questo “bene” (e i metodi per raggiungerlo concretamente in una comunità) il Toniolo ha ben chiaro che “occorre(va) non confondere ciò che è e deve essere la democrazia nell’ordine sociale della Cristianità, con ciò che può essere (…) senza comporne un prodotto necessario. (…) Gli ordinamenti democratici perciò non possono, senza distruggere se stessi, toccare le colonne e gli architravi dell’edificio sociale, e non ne riguardano che gli accessori e il complemento”. Quanto lucida sia tale distinzione tra fini (essenziali e di fondamento) e mezzi (sempre complementari e mutevoli) lo provano altri suoi scritti.
Difatti, dalla stessa opera giunge un monito chiaro e diretto: “La democrazia in questo suo contenuto essenziale non si confonde con alcuna forma di governo o reggimento politico. Essa è determinata dalla convergenza di tutte le forze vive della società e di tutti i suoi legittimi presidi economici, civili, giuridici, al fine del bene comune, e quindi a quello speciale delle moltitudini, indipendentemente da un dato tipo di governo. È più democratico quello stato che, qualunque sia il proprio ordinamento, meglio tutela e promuove gli interessi di tutti e proporzionalmente quelli dei più numerosi. La monarchia di S. Luigi IX fu indubbiamente più democratica che la repubblica di Oliviero Cromwell”.
Come riconoscere allora l’essenziale del “bene comune” nella pluralità delle forme di stato e di governo, tutte equiparabili?
Per Toniolo a fondamento di ordinamento giusto non può che esserci il concetto (e la sostanza) di “persona”. Da laico insiste così sull’urgenza di una riforma “contro al persistente pregiudizio liberale che, proclamato il suffragio universale, sul turbinio di atomi fluttuanti erige il monopolio di ristrette consorterie e contro alle minaccie socialiste di portare le moltitudini al timone dello Stato” (Indirizzi e concetti sociali all’esordire del secolo – 1900). In questo ordine di concetti, troviamo un concatenarsi di relazioni coordinate dal principio di sussidiarietà, che il Toniolo prevede per il nostro presente: “può prevedersi, con ogni fondamento, che la democrazia nel suo aspetto politico, in un prossimo avvenire, forse meglio che nella partecipazione delle masse alla suprema e accentrata rappresentanza parlamentare, si esplicherà con la fioritura delle più numerose e svariate autonomie amministrative di classi e di località civiche, rurali, provinciali, regionali ecc.; in ciò massimamente restituendo gli antichi ordini cristiani di civiltà” (Il concetto cristiano di democrazia).
Per sperimentare nella comunità questo avvilupparsi di libertà e solidarietà il Toniolo attribuisce il valore principale al “dovere” (e non ai “diritti”), poichè “l’unità organica della società, tutt’altro che scissa, trovasi cementata sotto la legge comune del dovere”. E quale tra questi è prioritario se non il “dovere sociale”? Sul punto il professore di Padova, di Modena e Reggio Emilia, ma soprattutto di Pisa, ci affida un monito: “nella progrediente civiltà coll’allentarsi dell’impero della forza, coll’allargarsi dei governi popolari, col diffondersi di multiformi libertà civili, quale virtù di coesione, di assimilazione, di unificazione rimarrà ad un popolo, (…) fuorchè in una idea da tutti i figli di uno stesso paese concepita, contemplata, e soprattutto sentita, intorno ad una doverosa missione nella storia, assegnata da Dio a ciascun popolo (…)?” (Indirizzi e concetti sociali all’esordire del secolo – 1900).
La domanda, da un lato, sconta molto del sempre più negato diritto di autodeterminazione dei popoli, che permette a ciascuna comunità coesa di riconoscere una “missione comune”. Si scontra, d’altra parte, con egemonie accentratrici mai sopite e oggi perfino rinviate a soggetti sovranazionali.
Nel suo percorso di “ricercatore del vero” il Toniolo affianca quindi il magistero pontificio della “sua” Rerum novarum” per la quale l’alta e vasta politica “fa capo ad un criterio supremo, dal quale tutti gli altri dipendono: “il criterio della necessità di subordinare gli ordinamenti e l’azione degli Stati alle ragioni spirituali della società”.
Quella stessa subordinazione degli ordinamenti alle ragioni spirituali della società riconosce la sua determinazione nella “ragione unica del potere politico (di questa autorità che viene da Dio) e quindi il titolo definitivo della legittimità di un governo (salva sempre la giustizia), e quindi ancora la misura della sua perfezione, [che] sta nel bene comune”, poichè “i principi esistono per i popoli e non i popoli per i principi”. “Cioè per meglio servire al bene comune dei cittadini la costituzione fondamentale politica deve atteggiarsi alla costituzione sociale della nazione (…). Di qui il rispetto non solo delle private libertà civili, ma ancora di ampie autonomie locali, che lo Stato per il bene comune deve guarentire e integrare, non menomare e sopprimere”.
Il rispetto per la libertà della persona permette il sorgere di una pluralità di autonomie locali e assiologicamente coese che si relazionano alle altre nel riconoscimento reciproco di garanzia e integrazione affinchè, ci insegna Toniolo, il “bene comune” sia realtà e non solo teoria.
Parole queste che suonano feconde, oltre il contesto politico attuale che rischierebbe di strumentalizzarle, per il riconoscimento della quotidianità che ciascun soggetto sperimenta nel contesto in cui vive. Proprio su questo dato di partenza il Toniolo scommette per giustificare il suo insegnamento: “la storia dell’ordine politico cristiano primamente si identifica colla genesi e colle vicende di quei focolari di vita autonoma, i quali, costituiti dall’origine tra i fedeli della medesima parrocchia come primo nocciolo di gestione dei comuni interessi, si raccolsero poi con potenza espansiva (…) entro le mura cittadine dei borghi inglesi, delle ville francesi, delle anse germaniche, dei “fueros” spagnoli, dei Comuni liberi d’Italia; (…) Dopo quattro secoli di riforma in qua (…) in questi ultimi anni assistiamo allo spettacolo pressochè generale in Europa, il quale intende rivendicare la grande funzione civile-politica e ad assicurare la più completa e libera esplicazione di questi enti locali, il comune, la provincia, la regione, in ispecie la ricostituzione autonoma del comune civico o municipio”.
Da questi spunti che ci offre nella sua veste di lettore attento della situazione politica, è così possibile mutuare elementi concreti di quella profezia di un bene comune che è “riconoscimento in comune del bene”. Per raggiungerlo pare opportuno riconoscere e garantire quella comunanza di valori e obiettivi, di spiritualità e cultura, all’interno di un ordinamento territorialmente limitato in modo da permettere con una sussidiarietà solidale la realizzazione del bene comune che altrimenti, in ambiti troppo estesi, non potrebbe raggiungersi se non tramite compromessi che in quanto tali impegnano spesso un nome troppo nobile per dei fini assai più modesti.

Non resta che lasciare alle parole del Beato il monito che prolunga di certo la riflessione oltre questi brevi note e si spera possa stimolare pure l’azione presente e futura degli uomini e delle donne che, seguendo l’esempio del Toniolo, dedicheranno i talenti loro affidati a servizio della comunità (civile ed ecclesiale): “Del pari bisogno, crescente nella civiltà, di grandi Stati o meglio di potenti unità politiche nazionali, si trovò (…) adulterato dai nostri governi unitari, che precipitarono le uniformi e coartate conglomerazioni di popolazioni, in mezzo a cui rimase deformata la fisionomia storica e la spontaneità animatrice d’ogni nazione. Ma deluso l’orgoglio di artefatti colossi politici a comodo di dinastiche ambizioni e appagati gli entusiasmi di nazionali rivendicazioni d’indipendenza, rimasero poi quelle unità meccaniche degli Stati moderni, di continuo minacciate da pletora al capo e da paralisi agli arti o peggio insidiate dal logorio quotidiano fra le membra di una stessa nazione, dispogliate di propria vitalità e troppo discoste fra loro per genio storico, educazione civile, avanzamenti economici, per adattarsi ad una stessa rigida uniformità amministrativa. Ora si riprende finalmente la interrotta genesi storica medioevale e si riproduce il concetto di grandi Stati risultanti dal coordinamento di veri e circoli concentrici di vita autonoma comunale, provinciale, regionale, in una vasta unità nazionale politica federale, non più meccanica ma organica” (Indirizzi e concetti sociali all’esordire del secolo).
Giuseppe Toniolo è stato in vita testimone sincero delle sue ricerche, concretamente in linea con la dottrina sociale della Chiesa, tuttora feconda per l’agire politico, in continuo ripensamento. La prossima beatificazione, oltre a proporre un modello di santità laicale per molti fedeli, si spera possa offrire anche uno stimolo perchè altri, con coraggio e competenza, seguano i suoi insegnamenti in molti ordinamenti, senza aver il timore di ripensarli, al fine di rinnovarne il loro essere semplici strumenti sempre cangianti per un “bene comune” realmente diffuso.

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