Tante domande cui dà risposta una ricca pubblicazione curata per la LEV, la Libreria Editrice Vaticana, da don Giuseppe Costa, don Giuseppe Merola e Luca Caruso.
Il titolo è essenziale e coglie appieno l’obiettivo che si pone: "Giornalismo e religione", con quella congiunzione che sottolinea l’indipendenza dei due ambiti, il riconoscimento di due sfere tangenti che esigono entrambe la propria autonomia.
Un manuale prezioso in quanto propone più linee di lettura: quella storica che consente di conoscere o ripercorrere momenti particolari di un ampio arco temporale che va dal 1949 a pochi mesi fa; quella teorica sulla notizia in generale e su quella religiosa in particolare; la chiave di lettura redazionale con la riproposizione di oltre centocinquanta articoli firmati da vaticanisti e non; le interviste a diciannove giornalisti italiani e stranieri e ancora un saggio sul fotogiornalismo religioso e due inserti fotografici che ripropongono le prime pagine dei quotidiani riguardanti le elezioni dei pontefici e una serie di fotonotizie che raccontano per immagini testimonianze di fede.
Un ambito non facile quello dell’informazione religiosa in quanto rappresenta il terreno di incontro fra tematiche terrene e spirituali, esigendo una lettura più profonda rispetto alla semplice narrazione dei fatti. Lo spiega bene nella prefazione del testo Angelo Paoluzi, giornalista e saggista, quando ben delinea la crescita di questo settore che è progressivamente uscito dalla nicchia per divenire una vera e propria specificità nell’ampio panorama informativo.
La costante dilatazione dell’informazione religiosa, in particolare sulla scia del Concilio Vaticano II di cui a ottobre ricorrono i cinquanta anni dall’avvio, ha permesso una copertura ampia delle questioni vaticane, complice anche la progressiva apertura della Chiesa al mondo. Ma non sempre il segno "più" dei numeri indica anche un accrescimento qualitativo, anzi saremmo lontani dai livelli dell’epoca e dell’avvenimento conciliare.
"Oggi il giornalismo è omologato verso il basso – scrive l’autore don Giuseppe Costa -, e se vogliamo trovare qualità bisogna spesso cercare nell’informazione locale o nella stampa specializzata".
Ripercorrere la storia del rapporto tra giornalismo e religione proposto dal bel libro di Costa, Merola e Caruso, significa anche apprendere una lezione professionale e di stile, anche etico, da protagonisti indiscussi delle cronache di oltre sessant’anni.
Un argomento ben contestualizzato nell’oggi e nelle giornate segnate dalle polemiche e ancor prima dall’amarezza per l’uscita del libro del giornalista Gianluigi Nuzzi che mette in piazza lettere e documenti di papa Benedetto XVI. Un fatto assai grave che il Vaticano non ha tardato a stigmatizzare, riservandosi di compiere "i passi opportuni affinché gli autori del furto, della ricettazione e divulgazione di notizie segrete, nonché dell’uso commerciale di documenti privati, illegittimamente appresi e detenuti, rispondano dei loro atti davanti alla giustizia".
Una vera e propria violenza perpetrata contro il sacrosanto diritto di ognuno alla riservatezza. Non si tratta certo di relegare nell’angolo dell’informazione compiacente il diritto di cronaca e di critica, il problema è un altro e arriva, dovrebbe arrivare, dritto alle coscienze di ogni operatore dell’informazione: c’è innanzitutto una deontologia professionale che deve guidare la mano del giornalista.
E non è proprio il caso di questo libro costruito sulla base di documenti sottratti illegalmente dalle carte di papa Benedetto. Gli ambienti investigativi vaticani sono in fibrillazione, alla ricerca di questa "mano lunga" che è andata a rovistare tra i documenti del pontefice (molti peraltro ormai ben noti) consegnandoli a Nuzzi e violando così il segreto d’ufficio e pontificio, previsti nel Regolamento generale della curia romana.
Se in Vaticano si impongono necessarie verifiche e provvedimenti a tutela della documentazione dello Stato e ancor prima del Santo Padre, anche al di qua delle mura leonine qualche interrogativo e iniziativa urge.
Un’onda d’urto che, senza incamminarci sul sentiero dei risvolti penali, investe in pieno perlomeno organismi come l’Ordine dei giornalisti e il Garante della Privacy, chiamati espressamente dal buon senso e dalla correttezza di tantissimi altri colleghi a prendere provvedimenti rapidi e seri contro "episodi di comunicazione selvaggia", come li ha definiti il cardinale Angelo Bagnasco nella sua prolusione all’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana.
Giornalismo, religione ed etica. I rischi di una “comunicazione selvaggia”.
di Elisabetta Lo Iacono
rnLa Chiesa è in costante dialogo con il mondo, richiama le crescenti attenzioni dei giornalisti, utilizza i mezzi di informazione tradizionali come quelli più innovativi, si muove con grandi capacità nell’areopago moderno, così come Giovanni Paolo II definì con grande efficacia il mondo della comunicazione. È indubbio che si tratti di un soggetto immerso appieno nel mondo mediatico, sia per il flusso di attenzioni di cui è destinataria sia per quello "in uscita" che ne fa un protagonista nell’habitat informativo dal quale non si può prescindere per comunicare con ogni uomo e quindi anche per evangelizzare. Ma qual è la correlazione tra giornalismo e religione? Come è stata narrata la Chiesa degli ultimi decenni? Quali i protagonisti?
Cultura e Società