L’anedonia può essere considerata anche una patologia del desiderio. La mancanza di desiderio può bloccare i nostri comportamenti motivazionali, cioè quei sistemi comportamentali che ci spingono verso l’altro, che alimentano la nostra curiosità, che ci proiettano verso mete gratificanti. Mi sembra di poter dire che in gran parte del mondo occidentale ci sia una dolorosa patologia del desiderio, una sorta di anedonia, una perdita delle capacità motivazionali. Questa condizione potrebbe essere associata da un lato all’eccesso di stimolazione e dall’altro ad una sorta di dominio della sazietà. Questo quadro ha modificato l’assunzione delle sostanze stupefacenti. Mentre negli anni settanta del secolo scorso le sostanze stupefacenti erano associate ad una sorta di ribellione e negli anni ottanta e novanta alla ricerca di anestesia dal dolore, nel terzo millennio le sostanze stupefacenti sono piuttosto utilizzate come “stimolatori” euforizzanti e disinibenti. Come è cambiato l’uso delle sostanze stupefacenti in questo primo decennio del nuovo secolo? Innanzitutto è diminuita la ricerca di sostanze analgesico-anestetizzanti. Non è più il dolore interiore, l’inquietudine ed il malessere depressivo la bestia divorante. Cosicché il mondo degli oppiacei è rimasto dominio di vecchi tossicodipendenti e tutt’al più l’eroina è sniffata per placare l’eccitazione della cocaina e dell’ecstasy. Le antiche “canne” dei figli dei fiori o dei rivoluzionari di un tempo si sono modificate in “canne” moderne, iperconcetrate di principio attivo (il tetraidrocannabinoide) e variamente mescolate. Il risultato è questo: l’attuale “canna” ha una potenza sino a venti volte quella delle vecchie “canne” dei rivoluzionari degli anni settanta. E inoltre nessun consumatore di cannabinoidi usa le sostanze con modalità ideologiche. La regina delle droghe del terzo millennio è lei: la cocaina, euforizzante, eccitante, utilizzabile in vario modo. Il primato della cocaina è ampiamente insidiato dall’ecstasy e dai derivati anfetaminici: droghe sintetiche a basso costo ed altrettanto euforizzanti, ma soprattutto “relazionali”, cioè capaci di sciogliere le timido-inibizioni e di favorire l’incontro, sia pure fugace ed anonimo, tra frequentatori di discoteche. Se questo è lo scenario, dobbiamo segnalare due fenomeni inquietanti. Il primo è la straordinaria diffusione dell’idea che le nuove droghe siano pulite, utilizzabili al bisogno e sostanzialmente prive delle tragiche conseguenze del “buco” dell’eroina. Idea, che associata al basso costo ed alla grande disponibilità dell’offerta, ha permesso una straordinaria diffusione delle droghe stesse. Attenzione: non è la discoteca il luogo di maggior diffusione delle sostanze stupefacenti. Non ci crederete, ma la scuola batte la discoteca. Il secondo fenomeno è invece legato ad un fatto nuovo: oggi sappiamo che le droghe consentono, anche attraverso meccanismi di slatentizzazione genetica, la manifestazione di malattie psichiatriche. L’uso di cannabis è ampiamente associato ad un sostanziale incremento del rischio di manifestare psicopatologie gravi, quali per esempio la schizofrenia. La pericolosità psicopatologica della cocaina e dell’ecstasy è ampiamente documentata. Dunque la nuova emergenza non è più quella legata alle condotte di dipendenza, come per esempio nel caso del vecchio eroinomane, ma all’incremento dell’insorgenza di psicopatologie. Quest’ultimo punto è particolarmente delicato e credo piuttosto sottovalutato. La correlazione tra sostanze d’abuso e psicopatologia non è del tutto chiara, ma è sempre più evidente e costituisce a mio parere una autentica emergenza, anche dal punto di vista assistenziale. Infatti non potremo più pensare a comunità terapeutiche tarate sul vecchio eroinomane, ma a strutture per le dipendenze in grado di affrontare le problematiche della cosiddetta “doppia diagnosi”: pazienti che abusano di sostanze e che al tempo stesso hanno disturbi psichici.
Droghe e malattie psichiatriche
Gli psichiatri utilizzano il termine “anedonia” per indicare una condizione caratterizzata dall’incapacità di provare piacere. In altri termini, ci sono patologie come la depressione, in cui il paziente non riesce a provare piacere per le attività che comunemente dovrebbero essere gratificanti e piacevoli.
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