rnA Londra i lavori creativi vengono spesso utilizzati per riqualificare aree urbane, gli incentivi alla produzione culturale vengono coniugati con il riuso di spazi in quartieri degradati. In Nord Europa aziende pubbliche e private si appoggiano a team di creativi per trovare nuove soluzioni a vecchi (ma anche a nuovi) problemi. Il Creativity world forum (Connecting creativity for economic growth, Belgio, novembre 2006), l’anno passato ha fatto lavorare amministratori pubblici statali con giovani artisti, designer insieme a politici. L’economia della conoscenza è una delle chiavi per entrare coscienziosamente nel futuro, per innovare, per competere, per tornare a credere che una buona idea possa cambiare il mondo (e quindi anche l’Italia).
Nel 2000 gli obiettivi della strategia di Lisbona erano chiari, entro il 2010 bisognava «diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale».
Recentemente sono stati pubblicati i risultati di una ricerca di Work Foundation e Eurofound da cui risulta che in Europa i lavoratori della conoscenza sono oramai quasi il 40% della forza lavoro. Lo studio conferma le profonde diseguaglianze tra Nord e Sud, tra paese e paese. In Italia costituiscono solo il 37% della forza lavoro (contro ad esempio il 60% della Svezia) e stanno all’ultimo posto nella tabella di soddisfazione professionale , il “good job index”, messo a punto per la ricerca.
Eppure oggi i termini economia della conoscenza o “lavoratori della conoscenza” sono di uso comune. Se ne parla tanto eppure se ne vedono in giro pochi (verrebbe da dire) soprattutto dalle nostre parti. Di chi stiamo parlando? Sono manager, ricercatori, innovatori, operatori culturali, comunicatori, formatori. Lavorano in cultura e in arte, nello spettacolo e nei servizi. Eppure in Italia hanno scarse possibilità di impiego, non riescono a vivere con un solo lavoro e dividendosi fra diversi progetti di breve durata non hanno la possibilità di stabilizzarsi, né riescono a trovare un equilibrio soddisfacente tra impiego e vita privata. Chi lavora spesso è sottoutilizzato o fa molto meno (in termini qualitativi) di ciò che ha imparato a fare con evidenti conseguenze nella qualità della propria vita.
Di contro, coloro che lavorano nell’ambito dell’economia della conoscenza e hanno a che fare con la creatività potrebbero far fronte a molte delle questioni più importanti per lo sviluppo dei nostri territori. Non è solo quello che dicono gli indirizzi europei; è quello che avviene già, altrove.