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Life is short, get a divorce! Un moderno carpe diem d’oltreoceano con il quale uno studio legale di Chicago, qualche tempo fa, esortava a scegliere la strada del divorzio per porre fine all’esperienza matrimoniale valutata, par di capire, un inutile peso, quasi uno spreco.

Già, uno spreco, come testimoniato dalle due gigantografie in cui lo slogan campeggiava, raffiguranti un uomo nerboruto ed una avvenente ragazza. “Come poter continuare nella mediocrità del matrimonio” sembravano suggerire le immagini “quando c’è la possibilità di scialare in un brodo di giuggiole?”. Life is short, get a divorce, appunto.

Dietro questa trovata pubblicitaria, non c’è solo lo zampino di un audace esperto di comunicazione; non c’è solo l’avidità di qualche divorzista di provincia; non solo l’ironica superficialità di chi crede che la vita si esaurisca in pratiche più o meno lussuriose: c’è soprattutto quella visione consumistica e mercificante che concepisce il matrimonio come un impedimento alla realizzazione del sé, un prodotto a breve scadenza, quasi un’istituzione anacronistica per i tempi iper-tecnologici in cui viviamo, dove tutto si divora velocemente, anche i rapporti tra le persone.

Una attitudine che oggi serpeggia sempre più tra le schiere internaute dei giovani in cui talvolta speranze e valori scemano innanzi ad una errata interpretazione del reale, di fronte ad una percezione distorta delle cose.

I dati, purtroppo, non sono certo incoraggianti: negli ultimi anni, in Italia, ma anche e soprattutto nel resto d’Europa, si è assistito ad una drastica contrazione del numero dei matrimoni e ad un preoccupante aumento delle separazioni e dei divorzi, con spese legali da capogiro. Nascono sempre meno bambini; sempre più famiglie si frantumano per le motivazioni più diverse. Certo, concorrono numerosi fattori, anche di carattere economico: sovente una Stato fantasma, incapace di garantire politiche adeguate di sostegno, diventa complice involontario dello sgretolamento delle famiglie e quindi della società stessa.

Ma sempre più spesso si decide di divorziare, o addirittura di non sposarsi, non solo perché mancano le condizioni idonee (casa, lavoro, soldi,ecc.), ma anche per l’endemica logica dell’usa e getta, dell’affrontare le persone come se fossero vecchi abiti da dismettere. Una società cresciuta nel consumismo più sfrenato, che sembra incontrare grosse difficoltà a stabilire rapporti duraturi, a donarsi completamente all’altro, ad assumersi responsabilità: abituata ad avere tutto e subito, poco avvezza al compromesso e all’ascolto, finisce per negare i bisogni dell’altro e a chiudersi solo ed esclusivamente nel proprio orticello. E’ la morte del rapporto interpersonale, è il decesso di quel collante che da sempre tiene unito il mondo: la capacità di amarsi sul serio. E di superare insieme le difficoltà.

Forse la vita è veramente breve, come sostiene qualcuno, ma niente più del legame indissolubile tra due persone può davvero conferirle valore, identità e significato. La volontà di proiettare il rapporto all’interno di un disegno più grande ispessisce la relazione, aiuta a gestire i problemi quotidiani, a favorire occasioni di confronto.

Si tratta di rilanciare l’immagine del matrimonio, ingiustamente bisfrattato, umiliato, depauperato di tutti quegli aspetti che lo rendono unico e non duplicabile. Accanto allo sforzo per sensibilizzare i governi affinché approntino urgenti politiche familiari, occorre nel contempo un nuovo linguaggio che sappia consegnare un’idea onesta e veritiera dell’unione coniugale, dando risalto a quel significato profondo che un’imperante corrente pragmatico-nichilista si ostina a disconoscere. E magari sperare domani di affacciarsi e trovare sotto casa un cartellone con la scritta: Don’t get a divorce, life is short!

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