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Chi sta boicottando il 150° anniversario dell’Unità d’Italia? È questo l’interrogativo che si è posto Ernesto Galli della Loggia (Corriere della sera, 7 feb.2010) denunciando la miriade di pubblicazioni, articoli, libri e libercoli che stanno mettendo i bastoni tra le ruote ai festeggiamenti per l’Unità d’Italia processando senza ritegno il Risorgimento come vetrina di malcostume e tradimenti, di tangenti e perfino di complotti.

Un’Italia che, già prima dell’Unità, sarebbe stata proprio come la conosciamo oggi, frammentata, litigiosa e incoerente. Ma oggi – avverte Galli della Loggia – si sarebbe oltrepassato il limite e si starebbe consumando “una rottura decisiva” che vede “un vero e proprio fronte antirisorgimentale e insieme antiunitario”. A suo parere, in nome di una approssimativa ricostruzione del passato sarebbe avvenuta la saldatura di tre segmenti, ognuno animato da grumi di risentimento e di rancore: quello settentrionale di ispirazione leghista, quello meridionale (che va dai tradizionalisti neoborbonici agli ultra paleomarxisti) e infine il segmento cattolico (dei guelfo-temporalisti).rn

A che cosa allora è dovuto questo singolare caos della memoria nazionale a 150 anni dell’Unità? Al vuoto che caratterizza da almeno mezzo secolo il discorso pubblico sulla coscienza nazionale degli italiani e lo stesso circuito scolastico che di fatto ha occultato ogni narrazione sul risorgimento, privando intere generazioni di memoria unitaria e di identità condivisa. Poi ci lamentiamo se gli italiani non si amano e se manca loro il senso del bene comune e del patriottismo costituzionale!

Ma se così stanno le cose, da dove si dovrebbe ripartire per avviare una efficacia terapia per guarire da questa patologia nazionale?

Forse si potrebbe iniziare da un cammino analogo a quello che si fa quando si celebra il Giubileo: una richiesta pubblica di perdono come purificazione della memoria e come tempo di riconciliazione nazionale. Ciò che infatti è mancato ieri e manca ancora oggi alla nostra amatissima Italia è che la sua Unità, per complesse ragioni storiche, non è mai stata desiderata e voluta da tutti gli attori che vivono sul suo territorio: a Nord come a Sud, di destra come di sinistra, cattolici come laici. È così vero che, fino ad oggi, non abbiamo mai festeggiato l’anniversario della data ufficiale della dichiarazione del Regno d’Italia, cioè il 17 marzo 1861, mentre siamo abituati a festeggiare il 25 aprile o il 2 giugno che però ricordano altri eventi, non la nascita dell’Unità nazionale.

Ecco perché lo spirito di un nuovo e terzo Risorgimento è il vero impulso di cui l’Italia avrebbe oggi bisogno per guarire dal suo congenito malessere nazionale.

Già nel primo Risorgimento, infatti, venne a mancare l’apporto pieno dei cattolici, come ricordano la “ questione romana”, la breccia di Porta Pia, il “Non possumus” di Pio IX e quel “Non expedit” (1874) che ha impedito ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana (fino al patto Gentiloni del 1913). Ma anche il secondo Risorgimento, quello che ha trovato nella Resistenza alla dittatura fascista la sua espressione storica e nella Carta costituzionale il suo coronamento, non ha incontrato la partecipazione delle forze di destra compromesse con il regime, risultando anch’esso un Risorgimento dimezzato.

Recenti indagini demoscopiche (quella dell’IPSOS del 2004 e quella dell’SWG di Trieste del 2008) ci dicono tuttavia che i nostri cittadini si dichiarano orgogliosi di essere italiani e si commuovono quando sentono l’Inno di Mameli o sventolano la bandiera tricolore. Essi vedono nella Costituzione, nel tricolore e nell’Inno nazionale i tre maggiori simboli unitari della nazione. Ma questi simboli dovrebbero oggi essere accompagnati anche da una narrazione appassionata e condivisa, di stampo neo risorgimentale, capace di unire il passato con il futuro e il coraggio civile con la speranza in una rinascita popolare.

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