Occorre distinguere il significato della risurrezione per Gesù, dal significato della risurrezione per noi. Io aderisco alla risurrezione quale evento accaduto a Gesù, ma nego che tale evento accaduto a lui abbia il valore salvifico assoluto per noi e per gli uomini di tutti i tempi che gli si attribuisce. Io penso che la vita eterna non dipenda dal fatto che Gesù è risorto, ma che il fatto che Gesù è risorto sia un segno della vita eterna nella sua effettiva realtà».
L’autore del fortunato libro su L’anima e il suo destino (Cortina 2007) sembra quindi confermare la sua difficoltà nei confronti della sorte che occorrerà dopo la morte al corpo (se già il titolo di detto volume è significativo, si vedano in particolare le pp. 181-186). Non a caso in un intervento del 2 Febbraio sull’Osservatore Romano il vescovo Bruno Forte lo ha potuto accusare di gnosticismo, richiamando la vanità della fede senza risurrezione di 1 Cor. 15,14. Il suo ragionamento, tuttavia, non è certo banale: ancora, non è un caso che il libro stesso presenti in apertura una lettera di apprezzamento del Cardinale Martini. Mancuso infatti non muove una critica banale alla resurrezione a partire dall’impossibilità di provarla storicamente, ma anzi le assegna persino un grado di plausibilità storica piuttosto elevato, perché senza di essa non si spiegherebbe la fede degli apostoli e la forte espansione del cristianesimo primitivo. Tuttavia il punto, per lui, è che la questione della salvezza di ciascuno si gioca in modo indipendente dall’evento: «Se domani si ritrovasse un’urna con le ossa di Gesù di Nazaret, per i miei valori e la mia visione del mondo non cambierebbe molto […] Nego cioè che per essere salvi di fronte a Dio occorra credere che quell’evento sia avvenuto (aspetto soggettivo) oppure che Dio a seguito di quell’evento abbia mutato il suo atteggiamento verso gli uomini o che sia mutato qualcosa nell’ordine del mondo che Dio non avrebbe potuto mutare prima e da sé (aspetto oggettivo) […] Il valore di quell’evento (in sé unico) è solo dimostrativo: è il segno della possibilità reale di una vita personale oltre la morte. Se però quel segno non fosse avvenuto, non cambierebbe nulla da un punto di vista ontologico e assiologico.». Non cambia, cioè, secondo Mancuso, il rapporto di Dio con gli uomini, immutabile dall’eternità, né la via della salvezza per gli uomini stessi, che resta solo quella della giustizia. Queste argomentazioni, quindi, ritengono di rafforzare sia il valore oggettivo che quello soggettivo della fede, sia il suo contenuto che il modo con cui vi si deve aderire; e la risurrezione di conseguenza ha solo validità di esempio, ma non è necessaria.
A nostro giudizio si tratta di osservazioni largamente condivisibili: la risurrezione infatti non è necessaria a Dio (nella misura in cui un’espressione del genere ha senso), e non è necessaria forse alla definizione di una morale umana. Ciononostante, tali osservazioni non ci sembrano in grado di raggiungere proprio l’obiettivo primo di Mancuso, ossia quello che egli definisce «valore soteriologico della risurrezione». Mancuso infatti è irretito nell’opposizione tra la «constatabilità empirica» ed il «valore»: «Il cristiano si trova tra Scilla e Cariddi, perché da un lato deve ritenere che la risurrezione non è un evento puramente spirituale senza tracce nella storia (non è l’immortalità dell’anima, ha a che fare con un corpo materiale), e dall’altro lato deve ritenere che la risurrezione non è un evento storico come un altro, empiricamente constatabile, come per esempio la risurrezione di Lazzaro». Ma non è l’«evento storico» della risurrezione quale mero fatto che salva, né il semplice atto spirituale di ritenere che esso sia accaduto effettivamente.
La risurrezione di Gesù, infatti, si pone al di là della distinzione tra fatto e valore, e di quella tra aspetto soggettivo ed oggettivo; le coinvolge entrambe, ma non si lascia esaurire da esse. Non è né un fatto, né un valore; non una costruzione dello spirito senza rispondenza nel reale, né un dato incontrovertibile. Se perciò Mancuso procede acutamente nella pars destruens, tuttavia ne rimane poi paradossalmente schiavo: al di là delle suddette categorie, infatti, vede solo un mistero da accettare tacendo (nel libro) o un esempio di altro (nell’articolo sul Foglio). Invece, oltre la distinzione tra fatto e valore, tra soggetto ed oggetto, si apre la possibilità di pensare la risurrezione su di un piano che precede ogni categorizzazione, e che tuttavia non è un qualcosa di inaccessibile su cui non si può dire nulla.
Si tratta appunto della questione della radice di ogni significato, prima di definizioni già formate. Cos’altro può indicare la salvezza, se non il guadagno del vero senso? Ma se così è, essa va pensata necessariamente un passo prima della distinzione tra spirito e materia, o di ogni altra classificazione della realtà. Le categorie – e le parole in generale –, infatti, si inseriscono evidentemente sempre già in contesti di significato almeno parzialmente costituiti (appunto soggetto/oggetto, valore/fatto, racconto/evento etc…) e nei quali quindi si è già data una risposta, almeno parziale, alla domanda sul senso. La questione della salvezza – aperta in tali termini nella storia della cultura forse proprio dalla fede nella risurrezione – ha la pretesa di porsi sul piano in cui il significato si genera; e la risurrezione ha la pretesa di essere una risposta dello stesso livello, che, lungi dall’essere un qualcosa di assolutamente incomprensibile, offre delle indicazioni decise. La vita dopo la morte, certamente, e dunque il segno di un tempo altro e diverso qualitativamente. Ma anche il ruolo imprescindibile del corpo; e, soprattutto nelle apparizioni postpasquali – si pensi ad Emmaus, o a Tommaso – il legame di questi due aspetti con la comunità. Nel pensiero contemporaneo, alcuni degli ambiti principali in cui si fa strada la possibilità di un processo di formazione del significato diverso da quello basato sulla correlazione soggetto-oggetto sono proprio il tempo, il corpo, e la pluralità dei soggetti: non esiste niente di umano che non sia mediato nel tempo, dal corpo, e comunitariamente. Nella nostra lettura, quindi la salvezza non può che investire la dimensione in cui si costituisce il senso e il valore delle cose, prima di ogni loro definizione, e la risurrezione di Gesù riguarda e a anzi forse persino dischiude questa dimensione, rivelandone alcuni tratti importanti: lungi dall’essere priva di «valore soteriologico», come nella lettura di Mancuso, essa conferma piuttosto la crisi di un pensiero inadeguato a confrontarvisi.