Rilevanti processi di cambiamento sia sul piano internazionale, la globalizzazione e la crisi degli stati nazionali, sia sul piano nazionale, l’innovazione nelle relazioni industriali e nei processi di produzione, hanno indotto il mondo “laico” ad interrogare la chiesa rispetto a questi problemi, a cercare nella dottrina sociale possibili risposte con le quali confrontarsi.
Da queste spinte sono scaturiti “dall’alto” ripetuti richiami all’impegno politico dei cattolici da parte delle gerarchie ecclesiali e di alcuni intellettuali, “dal basso” la realizzazione di azioni concrete da parte del laicato.
Nonostante queste positive e ben auguranti iniziative, nella chiesa e nella società italiana è prevalente un diffuso disinteresse per la dottrina sociale.
Sicuramente un freno è da rinvenire nei poco fecondi risultati conseguiti dalle esperienze realizzate negli ultimi decenni in ambito ecclesiale. Si tratta in primo luogo delle scuole di formazione socio-politica, che pur nella diversità dei moduli organizzativi adottati, non sono state capaci di sostenere tanto l’approfondimento e la diffusione della dottrina sociale della chiesa quanto la formazione di persone impegnate nel mondo dell’impresa, del lavoro e delle istituzioni pubbliche. In alcuni casi i percorsi formativi si sono limitati alla trasmissione di una conoscenza teorica della dottrina sociale, in altri casi la dottrina sociale della chiesa non ha costituito oggetto centrale dell’intervento formativo.
Un ulteriore fattore di resistenza è rappresentato dal disinteresse delle parrocchie e delle diocesi verso gli insegnamenti sociali. Se nelle parrocchie appare marginale la pastorale sociale e a maggior ragione l’approfondimento della dottrina sociale, le diocesi tendono, salvo alcune realtà, a privilegiare la promozione di interventi concreti per far fronte alle continue emergenze sociali rispetto all’animazione culturale e formativa.
Inoltre, alcuni movimenti ecclesiali hanno avviato momenti di formazione all’impegno sociale, incapaci, tuttavia, di coinvolgere le comunità parrocchiali. Più in generale, in ambito ecclesiale le iniziative dedicate alla dottrina sociale hanno prediletto l’elaborazione “intellettuale” rispetto alla realizzazione di percorsi educativi e formativi.
Evidente è, al contempo, l’assenza nel dibattito pubblico dei temi della dottrina sociale della chiesa. Lacuna imputata da alcuni osservatori al superamento del partito unico dei cattolici e alla conseguente frammentazione del pensiero e dell’azione politica dei cattolici.
La dottrina sociale della chiesa è, infatti, eminentemente legata ad un progetto dei cattolici per la società e la storia. Se da un lato é ragionevole pensare che la rilevanza della dottrina sociale sia venuta meno quando è scomparso un luogo unitario di elaborazione ed implementazione dei progetti dei cattolici per la società, dall’altro è necessario sottolineare la mancata attivazione di luoghi alternativi di riflessione e preparazione.
Se questo è il quadro di riferimento, scelte dirette a “conoscere, condividere e comunicare” la dottrina sociale della chiesa potrebbero costituire le leve per un’azione di promozione e diffusione della stessa.
Alla base del rilancio della dottrina sociale della chiesa vi deve essere una sua “riscoperta”, volta a contrastare il relativo “analfabetismo” e al contempo a rimettere in moto la riflessione, riprendendone temi ed idee.
Possibili interventi dovrebbero muovere dalla duplice considerazione che la dottrina sociale della chiesa, unitaria sul piano dei principi e dei valori, è aperta ad applicazioni plurali, e che la stessa orienta la persona verso la spiritualità, la moralità, la professionalità e la socialità. Per la dottrina sociale della chiesa la spiritualità costituisce, infatti, il fondamento dell’operatività.
Da ciò discende che la formazione per la dottrina sociale della chiesa deve essere tanto teorica quanto pratico-esperienziale.
In particolare, la formazione pratico-esperienziale, spesse volte trascurata ed emarginata, dovrebbe permettere di correggere la fuga verso i “pensatoi cattolici”. La formazione per la dottrina sociale dovrebbe fornire gli strumenti per una animazione cristiana dei diversi contesti di vita (lavoro, impresa, scuola, istituzioni, media, etc..). Una “cassetta degli attrezzi” fatta di progetti, relazioni e strumenti per operare all’interno delle organizzazioni di appartenenza (pubbliche, private, no-profit), per mediare nei territori progetti per il bene comune, e per verificare in maniera critica processi e crisi in atto.
In base a queste considerazioni si può prospettare una “formazione di base” ed una “formazione per la classe dirigente”.
In primo luogo tutti i cattolici sono chiamati a conoscere la dottrina sociale della chiesa. La formazione di base certamente contribuisce ad alimentare la cultura civica, l’orientamento al bene comune, che fino ad oggi sono stati in parte perseguiti attraverso la catechesi e l’insegnamento scolastico della religione. Non solo, ma occorre pensare a momenti formativi rivolti a tutti gli adulti cattolici.
In secondo luogo, a fronte della crisi delle tradizionali agenzie formative (i sindacati, i partiti politici, le associazioni), la cui vocazione generale e nazionale è stata piegata ad interessi partitici o locali, emerge il problema della formazione di una cultura “unitaria” delle classi, il cui minimo comune denominatore dovrebbe essere costituito dalla dottrina sociale della chiesa, capace di sostenere un’etica della responsabilità, della coesione, della solidarietà e del bene comune.
La formazione per la dottrina sociale della chiesa non può, dunque, prescindere da un’azione di stimolo nei territori e di supporto alla ricostruzione e alla crescita del “tessuto connettivo” della società.
La dottrina sociale è della chiesa, ma la sua realizzazione è legata ai cattolici impegnati nella storia. La dottrina sociale consente, infatti, di cogliere il legame tra vangelo e storia, di partecipare in maniera libera e consapevole alla “storia dell’incarnazione”.
È, allora, evidente come essa costituisca occasione per una ripresa del protagonismo del laicato. Anzi la soggettività del laicato rappresenta il presupposto per rilanciare la dottrina sociale della chiesa, che non può essere riservata all’impulso e alla responsabilità delle gerarchie ecclesiali.
Gli interventi formativi dovrebbero rappresentare un modo nuovo di assunzione di responsabilità da parte dei laici e dovrebbero offrire l’occasione per superare la ricorrente accusa di mancanza di operatività dei cattolici.
In tal modo, la dottrina sociale della chiesa concorrere a superare la visione duale e separatista di un cristianesimo o solo fenomeno sociale o solo fenomeno spirituale. Il rilancio della dottrina sociale della chiesa va innestato in un più ampio impegno per riattivare il dinamismo culturale della fede, che consenta di passare dalla “cultura della conoscenza” alla “cultura della progettualità sociale.
La possibilità di formare cattolici capaci di una visione unitaria e interpreti di una grammatica comune potrebbe alimentare una nuova stagione di impegno politico. Obiettivo della dottrina sociale della chiesa è, infatti, quello non solo di generare un “sentire politico”, ma di alimentare un impegno politico, di trasformare la passione in impegno.
Questo obiettivo, più volte ribadito dalla chiesa a partire dai documenti della CEI dedicati all’educazione alla legalità, all’educazione alla pace, all’evangelizzazione del sociale fino ai recenti e ripetuti richiami di Benedetto XVI all’impegno politico dei cattolici, può essere raggiunto a condizione che si avvii un’opera di “contagio” della dottrina sociale nell’arcipelago dei cattolici. La dottrina sociale è della chiesa, sicchè essa suppone l’intervento della chiesa tutta.
Naturalmente il rilancio della dottrina sociale, attraverso innanzitutto la formazione, presuppone a monte una continua riflessione, indotta dalla sua costante evoluzione, dalla quale trarre i contenuti più adeguati per la formazione, e richiede a valle un impegno per la sua diffusione, evitando in tal modo il rischio dell’autoreferenzialità.
Appare, pertanto, sempre più necessario promuovere iniziative di mediazione culturale e animare e sostenere forme e strumenti di comunicazione della dottrina sociale della chiesa, capaci di arrivare al maggior numero di persone, di tradurre i contenuti in un linguaggio accessibile a quanti intendono concretamente avvicinarsi alla dottrina sociale della chiesa, di interagire con un crescente numero di decisori pubblici e privati, e di creare rete tra gli attori della formazione.
La dottrina sociale della chiesa deve cogliere la sfida del “cortile dei gentili”, rendendo possibile un dialogo non solo con soggetti esterni alla comunità ecclesiale, ma anche con cattolici che si pongono al di là delle proprie appartenenze ecclesiali.
A queste sfide vuole dare delle risposte il primo Festival della dottrina sociale che si svolgerà a Verona dal 16 al 18 settembre, e che vuole essere un momento di riflessione e confronto a carattere nazionale, frutto dell’impegno di molteplici organizzazioni laicali impegnate nel rilancio della dottrina sociale della chiesa.
L’obiettivo è quello di “portare in piazza” il patrimonio della dottrina sociale e non lasciarlo al chiuso delle stanze di chi la conosce già. La dottrina sociale è stata concepita per essere un lievito, non può stare separata dalla farina della vita quotidiana. Un obiettivo che impegna soprattutto i giovani chiamati a costruire un futuro improntato sul bene comune e sostenuto dalle solide fondamenta della dottrina sociale della chiesa.
Inoltre, nell’ambito del Festival prenderà avvio la scuola di formazione per l’alta dirigenza in dottrina sociale della chiesa. La scuola, la prima di questo tipo promossa in Italia, mira a divenire un punto di riferimento concreto per la creazione di una nuova classe dirigente dotata di un comune sentire in tema di “applicazione” della dottrina sociale della chiesa nell’attività di impresa, nella finanza, nelle istituzioni e nelle comunità locali.
*Responsabile operativo dell’Osservatorio sulle riforme e l’alta formazione della pubblica amministrazione e collabora con il Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “V. Bachelet” della Luiss Guido Carli.