"L’esclusione di Cristo dalla storia dell’uomo e’ un atto contro l’uomo". Dopo aver pronunciato questa frase, nel suo primo viaggio nella Polonia stretta nella morsa della cortina di ferro nel 1979, Giovanni Paolo II non riusciva a continuare. Un applauso interminabile che covava da chissà quanti anni esplose dalla folla a Varsavia. Ecco, anche oggi dobbiamo dirci, di fronte ai nuovi nemici della dignità dell’uomo, che non si chiamano più nazismo o comunismo, ma relativismo e individualismo, che non
rnsi può escludere Cristo dalla storia.

Si può dimenticare di citare le radici cristiane nella Costituzione europa ma non si può soffocare lo spirito del Vangelo né ridurlo a una dimensione privata.
Nella tante emozioni di questi intensi giorni della sua beatificazione, mi è venuto alla memoria questo episodio, insieme agli indimenticabili incontri col papa polacco, che ho avuto l’opportunita’ di conoscere insieme ai giovani delle Acli, a Castel Gandolfo del luglio del 1982 e in Vaticano nel dicembre dello stesso anno. Incontri che non si possono cancellare dalla memoria e rendono questo papa una presenza spirituale che ci conduce a Cristo, redentore dell’uomo.

Lo storico Christopher Dawson ha scritto che "per cambiare il mondo a un cristiano è sufficiente essere". Giovanni Paolo II semplicemente è stato.

E’ stato mentre parlava alle folle dell’Est e del Sud del mondo. E’ stato quando ricordava all’Europa le sue radici cristiane. E’ stato quando non poteva più viaggiare e camminare e il suo volto è diventato quello del servo sofferente di cui parla Isaia.

Tante cose si sono dette e scritte di Karol il grande in occasione della sua beatificazione del 1 maggio. Su una vorrei insistere: Giovanni Paolo II non e’ stato solo un grande comunicatore, e’ stato un mistico, un atleta di Dio poi divenuto servo sofferente. E’ stato il papa del cristocentrismo e dell’ecumenismo, del crollo del muro di Berlino e della pace, dell’apertura universalistica
della Chiesa e della fedelta’ alla Tradizione, dei giovani e dei poveri del Sud del mondo. Questo suo volto poliedrico, lo trovo evidenziato nella sua storia di sofferenza, nei tanti lutti che hanno accompagnato la sua giovinezza, nelle prove che ha subito, e nelle risposte di amore che ha sempre dato al male.
La morte della mamma a 8 anni. La morte del fratello e infine quella del padre. L’oppressione nazista prima e quella stalinista,
dopo. Un altro si sarebbe disperato e sarebbe andato dallo psicanalista. Lui ha amato. Ha cantato la bellezza del corpo e del matrimonio. Ha spinto alla pazienza di fronte agli oppressori e ha visto il crollo del moloch sovietico.
La cosa straordinaria della storia di questo papa è che nella sua vita si racchiude la risposta ai drammi dell’umanesimo ateo che ha caratterizzato il Novecento. Pur provato in tutto ha risposto bendicendo.
Nelle sue parole e nella sua testimonianza si puo’ scorgere la risposta di Dio ai drammi del Novecento. Nelle vicende del nazismo e dell’oppressione sovietica, nel suo essere stato il primo papa operaio, un vero "papa sociale", Giovanni Paolo II
è stato il papa della dottrina sociale.

Ha incarnato i quattro principi della dottrina sociale (il principio-persona, la sussidiarieta’, la solidarieta’, il bene comune) con
Solidarnosc in Polonia, davanti ai campesinos, a Agrigento nella Valle dei Templi quando ha condannato la mafia nel 1993, davanti agli occhi imploranti in Africa, alzando il velo contro le piaghe che il mondo non vuol vedere: la fame, le guerre dimenticate, la malattia, l’Aids, la povertà.

Il centro dell’evangelizzazione è per il papa polacco la persona e la sua dignita’. Per il papa operaio la Chiesa non può venir meno al suo dovere di evangelizzare il sociale.

Giovanni Polo II nelle indimenticabili Giornata mondiale della gioventù ha insegnato ai giovani, le prime vittime delle passioni tristi, che la liberta’ ha bisogno di presupposti morali.

Il centro del suo messaggio sta tutto in quel "non abbiate paura, aprite,anzi spalancate le porte a Cristo".

La beatificazione di Giovanni Paolo e’ una grande occasione per riflettere sui modi nuovi per evangelizzare il sociale, per portare sulle strade della storia la fecondità del Vangelo, senza aver paura di non essere politicamente corretti e sapendo andare contro corrente rispetto a quella dittatura del relativismo di cui parla il suo successore.

Senza concessioni alle pulsioni integraliste e con quella fantasia della carità a cui ci ha abituato Giovanni Paolo II nei sui 27 anni di pontificato.

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