Per la prima volta nella storia della Chiesa conosciamo quale sarà la giornata conclusiva di un pontificato. Il 28 febbraio alle ore 20 la sede petrina tornerà ad essere vacante dopo di che sarà convocato il conclave per l’elezione del nuovo pontefice. Non si tratta di una profezia ma dell’inatteso annuncio dato ieri da papa Benedetto XVI nel corso del concistoro pubblico ordinario convocato per alcune cause di canonizzazione.

Una notizia inattesa anche se la progressiva "stanchezza" del papa, costretto da qualche mese ad utilizzare la pedana mobile per gli spostamenti nelle cerimonie in basilica, aveva fatto chiaramente percepire come il vigore del papa tedesco si stesse progressivamente assottigliando tra i numerosi impegni quotidiani. Lo stesso papa, poco più di due anni fa, aveva affrontato il tema delle dimissioni nel libro-intervista "Luce del mondo" di Peter Seewald. Il giornalista tedesco aveva rivolto a Ratzinger una precisa domanda in merito all’ipotesi di dimissioni e il papa aveva risposto che “quando il pericolo è grande non si può scappare. Non è il momento di dimettersi. È in momenti come questo in cui non ci si può dimettere. Ci si può dimettere in momenti di serenità o quando non ce la si fa più, ma non si può scappare nel momento del pericolo”.
E in effetti Benedetto XVI non ha lasciato la guida della Chiesa nei periodi di maggiore difficoltà del pontificato – dal caso pedofilia a Vatileaks – ma ora che sembra avvertire tutto il peso dei suoi prossimi ottantasei anni.
Sono passate ormai diverse ore dalla "declaratio" di Benedetto XVI in quel concistoro: una seduta che non doveva avere niente di straordinario. Sino al momento in cui il papa ha dato lettura di una comunicazione che ha segnato un passaggio storico nelle vicende della Chiesa. Di solito la successione al soglio di Pietro avviene con la morte del pontefice, come ci dicono la consuetudine e persino il diffuso adagio romano "morto un papa se ne fa un altro". Ma questa volta gli eventi impongono di fermarsi e comprendere quanto accaduto, evitando – se possibile – facili valutazioni e giudizi tendenti ad alimentare gli schieramenti di parte.
Papa Ratzinger lascerà nella storia della Chiesa l’immagine di un pontefice, e ancor prima, di un uomo umile ma anche coraggioso.
Quello che doveva essere un pontificato di passaggio, tra il vigoroso e operativo Giovanni Paolo II e un nuovo papa, ha dimostrato di non essere una semplice parentesi nel governo della Chiesa universale.
Il pontificato di Benedetto XVI ha affrontato con determinazione molte questioni interne ed esterne al Vaticano, trovandosi addosso bufere sino ad allora congelate come quella della pedofilia. Uno degli aspetti sui quali papa Ratzinger ha peraltro sempre dimostrato coraggio e sensibilità.
La figura del teologo freddo, incapace ad emozionarsi ed emozionare si è pian piano disciolta alla luce di quelle catechesi, dei documenti magisteriali, degli scritti prodotti in questi sette anni di pontificato.
Non appena è stato chiaro che papa Ratzinger non poteva essere giudicato solo sulla base della sua "scioltezza" comunicativa ma che andava ascoltato con attenzione, allora sono aumentati in maniera esponenziale i giudizi positivi. Può sembrare una banalità ma sappiamo quanto l’immagine sia spesso un concreto ostacolo a un desiderio e persino a un bisogno vero di conoscenza.
L’umile servitore nella vigna del Signore, come si definì efficacemente nel giorno dell’elezione, ha effettivamente svolto il suo lavoro di pastore della Chiesa universale, giorno dopo giorno, chino sui problemi (non pochi) del suo gregge, alle prese con relativismo, secolarizzazione e nuove nonché insidiose sfide della moderna società.
Un pontificato denso e difficile che ha richiesto coraggio per essere portato avanti, tra le tempeste esterne alle mura leonine ma anche tra quelle interne che, probabilmente, hanno minato il suo "vigore dell’animo". Vatileaks è stato sicuramente uno dei momenti più difficili del pontificato, condito da lotte intestine e, sul piano più "familiare", dal tradimento dell’assistente di camera, quel Paolo Gabriele poi graziato dallo stesso papa, nonostante tutto. Ma non si parli troppo a voce alta di questa vicenda, per evitare che l’autore del libro che ha messo in piazza la corrispondenza privata del pontefice – tal Gianluigi Nuzzi – possa in qualche modo convincersi di avere avuto un ruolo determinante nella caduta di un re.
Quello che forse è bene sottolineare è come il coraggio sia necessario non solo nel proseguire un’esperienza ma anche nel porvi termine. E la vicenda lo dimostra chiaramente. La scelta di Benedetto XVI di lasciare la guida della Chiesa non è un gesto di debolezza bensì un atto di coraggio, di grande umiltà e di amore, forse anche di devozione.
Ascolteremo tante teorie romanzate da qui al termine del pontificato – fissato dallo stesso Ratzinger per il 28 febbraio – ma qualche volta sarebbe opportuno dare maggiore credito alle parole che ascoltiamo.
"Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio – ha detto Ratzinger nel suo messaggio in latino -, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino". Ed ancora: "nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato". Da qui: "ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice".
Una decisione improvvisa ma di certo non improvvisata: papa Ratzinger, proprio come chi si appresta a "partire", aveva rimesso recentemente in ordine anche i numeri del collegio cardinalizio con la nomina di sei nuove berrette a fine novembre.
Forse a questo punto il coraggio spetta a noi nel saper cogliere l’audacia e l’umiltà di quella scelta, dettata da un evidente amore per il bene della Chiesa.
Lasciando da parte qualsiasi congettura che possa allontanare dalla verità e senza gridare allo scandalo. In fin dei conti chi crede nel Cristo che si è fatto uomo non dovrebbe certo scandalizzarsi per un papa che rimane uomo, profondamente uomo, sino a riconoscere le sue fragilità.

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