Il pontificato di papa Benedetto XVI sta scorrendo via veloce, giorno dopo giorno, puntando dritto alle ore 20 del 28 febbraio quando la sede petrina sarà ufficialmente vacante e dovranno essere compiuti tutti gli adempimenti del caso, sino all’apertura del conclave e all’elezione del 266° pontefice.
rnProprio come accade quando muore un papa. Ma questa volta si tratta di una rinuncia da parte del pontefice regnante e quindi la successione al soglio di Pietro rappresenta un’assoluta novità nella storia della Chiesa dinanzi alla quale non possiamo rimanere semplici spettatori.
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Da troppi mesi assistiamo a una situazione decisamente non positiva per la Chiesa, soprattutto per uno stridente contrasto tra il messaggio evangelico e vicende talvolta torbide. Pensiamo alle ripetute fughe di notizie e di documenti sulla gestione della res vaticana, al lunghissimo impasse nello Ior, a maggiordomi traditori che volevano farsi messaggeri dello Spirito Santo, a giornalisti privi del senso dell’etica e in preda a deliri di onnipotenza, a oggettivi scontri interni alla curia. Ogni ambiente presenta di solito, più o meno marcatamente, i limiti e le pochezze dell’umano ma l’immagine che è fuoriuscita con impeto dalle mura leonine ha mostrato qualcosa di radicato e persino spietato, come se il "fumo di Satana", di cui parlò Paolo VI, avesse saturato troppi ambienti.
In tutto questo tempo, seppur nella consapevolezza di una situazione difficile, abbiamo seguito la decisa e coraggiosa guida di papa Benedetto XVI che ha sposato la sua notoria umiltà con il piglio del risoluto condottiero. Mesi difficili, in particolare gli ultimi, cui il papa è giunto con un’evidente stanchezza ma, ancor più, con la saggezza e lungimiranza di chi sa guardare al bene di chi ama. Da qui la scelta di lasciare il pontificato a un successore più giovane, con energie da spendere per affrontare le tante sfide esterne e sanare le beghe interne. Quello che il papa pensa di alcuni ambienti dell’istituzione ecclesiastica lo ha ribadito più e più volte con disarmante chiarezza: dalla definizione (proferita ancora da cardinale) di "sporcizia" nella Chiesa durante il venerdì santo del 2005 all’omelia per le Ceneri di mercoledì scorso.
Il messaggio alla curia è evidente: il volto della Chiesa rischia di essere a volte deturpato. "Penso in particolare alle colpe contro l’unità della Chiesa, alle divisioni nel corpo ecclesiale. Vivere la Quaresima in una più intensa ed evidente comunione ecclesiale, superando individualismi e rivalità, è un segno umile e prezioso per coloro che sono lontani dalla fede o indifferenti". Ed ancora l’invito, nel cammino quaresimale, a "imparare ogni giorno ad uscire sempre più dal nostro egoismo e dalle nostre chiusure, per fare spazio a Dio che apre e trasforma il cuore", rifuggendo dalla "ipocrisia religiosa, il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione. Il vero discepolo non serve se stesso o il ‘pubblico’, ma il suo Signore, nella semplicità e nella generosità", "la nostra testimonianza allora sarà sempre più incisiva quanto meno cercheremo la nostra gloria e saremo consapevoli che la ricompensa del giusto è Dio stesso".
Un richiamo all’ordine e un invito a tutti "a rinnovarsi nello spirito, a ri-orientarsi decisamente verso Dio, rinnegando l’orgoglio e l’egoismo per vivere nell’amore" come detto nel penultimo Angelus di domenica.
Benedetto XVI dunque sta dimostrando sino in fondo piena lucidità di analisi e consapevolezza dei limiti umani della curia e proprio questa potrebbe essere stata la spinta per la rinuncia al pontificato.
Ma attenzione, non per un atto di debolezza o di egoismo, gettando così la spugna della "pulizia", quanto per un enorme gesto di amore proprio verso la Chiesa intesa nella sua dimensione comunitaria: quel "Noi della Chiesa è la comunità in cui Gesù ci riunisce insieme".
Il papa, consapevole dell’avanzare degli anni, avrà certamente pensato all’ipotesi di qualche sua infermità, a un leggero appannamento delle sue doti di analisi, di discernimento e di scelta.
Ecco la probabile molla di questa storica decisione: evitare che il governo della Chiesa finisse di fatto nelle mani di qualcun altro, senza che lui stesso fosse più in grado di gestirlo pienamente, in ogni delicato risvolto.
L’atto di amore sta proprio in questo: innanzitutto nel riconoscere umilmente i suoi limiti umani, facendo di conseguenza un passo indietro per garantire il bene di quella Chiesa che necessita di un buon pastore capace di proseguire in questo cammino.
Dicevo all’inizio che non possiamo rimanere semplici spettatori di questo processo di transizione.
È bene che i cattolici, in questo ultimo frangente di pontificato, siano partecipi e presenti per più motivi: innanzitutto per dimostrare a papa Benedetto affetto e riconoscenza ma anche consapevolezza di quanto questa scelta sia importante per il futuro della Chiesa.
E poi perché un’adesione massiccia rappresenterà anche un segnale inequivocabile per quanti dovranno guidare, amministrare, vivere attorno al successore di Pietro: la testimonianza di papa Benedetto non finisce chiusa negli annali della storia ma lancia sul futuro della Chiesa una pretesa di trasparenza, di amore e di reale testimonianza dei valori evangelici.

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